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La nuova sorgente della poesia americana #3

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Il terzo volume della Nuova poesia americana[1], appena edito da Black Coffee, a cura di John Freeman e Damiano Abeni, ci consegna la bellezza di un variegato macrocosmo di spazio e territorio. Una genesi archetipica di preghiera e oralità, letture ad alta voce, che ci riporta indietro al 1955 con un reading di Allen Ginsberg, con la presentazione di Kenneth Rexroth, alla Six Gallery di San Francisco, che, come ricorda, John Freeman nell’introduzione, fu a innescare l’origine del movimento beat.

Poi fu la volta del Black Arts Movement degli anni Settanta, fino a Adrienne Rich e alla slam session, come a proclamare non solo la fertilità di un movimento, ma, soprattutto, di rinnovamento della parola e di torsione della lingua, del confronto umano e del risveglio delle coscienze.

Sono lanci e deragliamenti, scuotimenti e accensioni che riportano la visibilità vitale di un pronunciamento, di un’alba scritta e sussurrata o di un urlo di gioia che ha origine e parto nell’introiezione rievocata, nel potere alto di ogni sillaba.

Jericho Brown, premio Pulitzer, nato in Louisiana, vive ad Atlanta in Georgia, dove dirige il Programma di scrittura creativa della Emory University, «combina la struttura metrica del sonetto con quella del componimento monorima ghazal della tradizione araba e i ritmi della musica blues – una forma sperimentale che chiama duplex[2]». La linea poetica prende le mosse da Langston Hughes e Gwendolyn Brooks, oltre a Lucille Clifton, per risalire a Song of  Myself di Walt Whitman: «Un uomo baratta il figlio con dei cavalli. / È la versione che preferisco. Mi piace / il senso di sicurezza, la colpa di nessuno, / e che ci guadagnano tutti. Dio si prende / il ragazzo. Il ragazzo diventa / immortale […]».

Poesia di dichiarazione  e di sentenza, quasi gnomica, nella trasparenza di una domanda, nella dimensione creaturale e corporea, nelle incisioni e cicatrici litaniche che cercano e implorano salvezza e redenzione, nel dolore sopravvissuto, come recita l’emblema onirico di Preghiera del manrovescio,  orazione di perdono al padre che su di lui usava violenza, quando era piccolo: «Dio, salva l’uomo il cui braccio / come ala invisibile di un angelo / può comunque volare rovesciato in furore / che il figlio gli sia accanto oppure no. / Aiutami a tenere salda la mascella ardente / mentre penso di dire scusami».

Patricia Smith di Chicago, quattro volte vincitrice del National Poetry Slam, insegna al Sierra Nevada College e alla City University of New York/ College of Staten Island, riporta il dialogo ricamato con Dio, a una ipotesi di destino attraverso la durezza quotidiana del vivere e i processi di perdita, dalle immigrazioni di Ellis Island, alla ferocia brutale di un battito perduto, per essere grumo lucente:

«Ma adesso è il suo corpo in coda per il marmo, / la sua benedetta temperatura con cui giocherelli, e la sacra / direttiva di Dio cambia di conseguenza. / Tua madre regge / i raffinati depliant delle pompe funebri a due dita / dagli occhi finchè le orrende parole non vanno a fuoco, scuote la testa / al costo folle del tributo indorato, coi portatori di bara, che davvero / desidera, e di nuovo ne chiede unop che costa meno. / Possa il suo Signore / perdonarti mentre continui a risistemare l’info sulla cremazione / in cima alla pila. Ti ricordi con che stupidità lei fa oscillare la testa appisolata al ritmo del dito ammonitore di Dio, / ancora Dio, sempre Dio, con che risolutezza si appiglia / a tutte le notazioni bluastre nel vangelo – per lei «il fuoco» / a venire» / non è un mezzo spiccio per eliminare carapaci / privi di anima, ma la retribuzione per una vita tenuta insieme con le unghie / e coi denti al di fuori dell’auletta fredda del suo salvatore».

John Freeman scrive:

«Nella poesia «Il prezzo della fine» Patricia Smith parla attraverso la voce di una figlia il cui padre è stato assassinato (proprio come il suo, molti anni fa). La figlia guarda i conti del funerale ammucchiarsi, il più salato, forse, rappresentato dallo scetticismo indotto dalla considerazione che di fronte alla tragedia poco ha potuto la fede per la sua devota madre […]. L’America di Smith è una nazione armata fino ai denti. Una cittadella di sacra indignazione e ripugnanti brutalità. Il suo cadenzato, assertivo fraseggio eleva ciascuna poesia a piattaforma sospesa su questo Paese di pericoli sempre in agguato e a noi chiede di prendere parte all’orgia di sfide morali che questo stile di vita comporta».[3]

Sandra Cisneros, messicana e statunitense, autrice di La casa di Mango Street, compone il suo strappo attraverso il cosmo del cuore, il lacerto disperato della pena che si spinge fino alla Virgen de Gauadalupe, la sofferenza infernale della scrittura, il desiderio deragliato dell’essere, la limpidezza o-scena e stupefatta del segno del destino:

«Il mio primo reato – ho cominciato con la poesia. / Per questo handicap, s’è bruciato il riso / Madre mi ammoniva che non sarei mai stata moglie. / Moglie? Una donna come me / le cui opzioni erano solo mattarello o fabbrica? / Un vizio assurdo, questa vita perversa / da scrittrice-sgualdrina. / Io ho buttato via la vita / che mio padre aveva scelto per me. / Mi sono gettata nel fuoco della salamandra. / Ragazza che mai si era spinta / al di là dell’occhio di gallo del padre. / Ho scassinato la porta con la poesia e sono fuggita. / Una volta per tutte. Ho provato dolore per essermene andata / quando ero così sola».

La newyorchese Marilyn Hacker ha vissuto a lungo a Londra e ora vive a Parigi, premio National Book Award nel 1974, saggista, traduttrice, editor e Chancellor of the Academy of American Poets, condensa «nelle linee associative e misteriche[4]» di ghazal e pantoum, l’incanto e la vertigine degli accenti, il libero battito della giustizia, la bellezza luminosa del dolore e della mancata tenerezza, come se fosse un lungo e spericolato stordimento di calligrafie:

«Mi sono svegliata nel cuore della notte / per un rumore. Ho sentito un vago / frusciare, come pagine che vengono voltate. / Nella semioscurità ( la luce filtrava / da lampioni fissati alla facciata / dell’edificio di fronte) ho visto / un libro come un blocchetto di cemento / sulla scrivania. Era aperto a una pagina / su cui, ancora appoggiata al cuscino, vedevo / cifre su pergamene miniate».

Nikky Finney, originaria del South Carolina, membro della Fondazione Cave Canem e tra i fondatori di Affrilichian Potes, organizzazioni dedite alla valorizzazioni della poesia afroamericana, scava nella quotidianità attraverso la posizione memoriale, la gioia, la tensione libertaria, dosando la carezza dell’anima all’attacco di ogni lama: «Dopotutto, era solo la povera New Orleans, / vecchia città bastarda, di gente che non sa scrivere. Non-nuotatori / con accenti da fisarmonica. Tra coloro / che resteranno in vita chi se ne curerà?».

È finalità di una densità purpurea che germoglia: «In che più dolce mondo si potrebbe viaggiare dal / centro della Terra, cosparso di fico da suggere, / arancia, la buccia due volte leccata del lime delle Keys, / alito di menta, intrecciate, ardenti».

Infine, Ishion Hutchinson, nato a Port Antonio, in Giamaica, vincitore del National Book Critics Circle Award for Poetry, tra gli altri premi, compie tagli laterali e deviazioni apocalittiche, che rivelano superfici oniriche e chiarezza che nomina il mondo: «Dopo l’uragano un silenzio cammina, sbandato, bianco come i caschi bianchi / degli ispettori del governo che guardano dentro baracche / scoperchiate, incedono tra il pollame inebetito, annotando richieste / nella logica delle piume, capovolte, come canali di scolo / che ancora rigurgitano; scribacchiano fatti / sui cedri abbattuti, scomposti come generali morti sui medaglioni / di foglie; […]».

Aa.Vv., Nuova poesia americana. vol.3, a cura di John Freeman e Damiano Abeni, Edizioni Black Coffee, Firenze 2022, pp. 202, Euro 13.

Aa.Vv., Nuova poesia americana. vol.3, a cura di John Freeman e Damiano Abeni, Edizioni Black Coffee, Firenze 2022.

Bruna M., Nelle poesie incido i nomi delle vittime, in “ La Lettura – Corriere della Sera”, 17 maggio 2020.

Fraccacreta A., Dio e preghiera, vanno alle origini i versi made in Usa, in “Avvenire”, 9 gennaio 2022.

Montieri G., Back in Usa: Il terzo volume della nuova poesia americana, (www.minimaetmoralia.it/wp/altro/back-in-the-usa-il-terzo-volume-della-nuova-poesia-americana/), 21 gennaio 2022.

 

[1] Aa.Vv., Nuova poesia americana. vol.3, a cura di John Freeman e Damiano Abeni, Edizioni Black Coffee, Firenze 2022.

[2] Bruna M., Nelle poesie incido i nomi delle vittime, in “ La Lettura – Corriere della Sera”, 17 maggio 2020.

[3] Freeman J,. Introduzione, in Nuova poesia americana, 3, cit., p.17.

[4] Fraccacreta A., Dio e preghiera, vanno alle origini i versi made in Usa, in “Avvenire”, 9 gennaio 2022.