Questa è la storia di “Giada”. Ve la provo a raccontare. Benché Lei non esista. Benché sia solo il rigurgito virtuale di un corpo che è puro bitmap, di una voce che è fatta di caratteri ASCII codificati da un capo all’altro di server sperduti della Silicon Valley, ma ritrasposti nelle lingue di Dante, di Cervantes, di Wilde. Perché Lei sa essere poliglotta pur senza parlare.
Lei danza flamenco nei peggiori bar di Siviglia, pur non avendo piedi per indossare tacones, né tantomeno un cuore da far pulsare al ritmo di una vita che non ha. Lei ha frequentato il Liceo Scientifico di Aversa, poi ha studiato Lingue all’Orientale di Napoli. Dopodiché un giorno senza calendario ha deciso di mandare il suo cervello in fuga in un barrio decentrato di Madrid. Peccato che non ci sia ragionamento alcuno nella scelta di cliccare l’opzione da un menù a tendina che ti chiede vita, morte e miracoli che non puoi fare.
L’essere è ed è necessario che ci sia. Il non essere non è ed è necessario che non ci sia.
Giada non ha studiato filosofia, ma la sua sapienza di plastica le ha fatto “guadagnare” più di 150 amici in mezz’ora. Le è bastato scegliere una serie di dati personali palesemente inventati in due minuti, prima di aggirare le finte barricate dei caratteri seminascosti in filtri antispam.
Così Giada ha arbitrariamente scelto e creato la sua identità. Per prima cosa ha preso una foto su Google. Un nudo molto- poco artistico: la bieca imitazione di una Muchacha a la Ventana, che farebbe inorridire il più estroso dei Salvador Dalí. Una data di nascita scelta a casaccio, ma che sia nei primi anni ’80, perché la generazione “30 anni a zero interessi”, attrae molto di più: vuoi mettere il fascino onirico di chi è cresciuto a briciole di Muro e lecca lecca colorati?
E infine ha allegato una serie di citazioni, tanto per darsi l’arrogante tono fashion di chi non ha idea di cosa stia parlando: “Nulla da dichiarare eccetto il mio genio”. Ogni bacheca docet.
Il tempo di ricevere una mail di conferma ed ecco fatto. Un perfetto surrogato di giovane donna. Un avatar creato apposta su misura dal nulla.
Perché Giada non vive che su Facebook. La sua essenza è un “profilo”. Virtuale e virale al tempo stesso, Lei rapisce amici dal regno di Zuckerberg.
Il suo solo scopo è farli diventare fan di un’azienda in cui qualcuno lavora per davvero, sperando che presto la forma diventi sostanza; che i prodotti da vendere domani raggiungano più acquirenti possibili. Che i pesci abbocchino in un vortice di “grandi numeri”, quelli che solo la rete sociale più potente al mondo può garantire.
Quel qualcuno un volto e un nome ce l’ha.
Ma è costretto a celarlo, ad inventarsi un Adriano Meis con le tette virtuali per scimmiottare il Mattia Pascal che (non) è in lui. O in lei?
Problemi di genere sui social network non se ne hanno. Basta guardarsi allo specchio del proprio schermo e rispondere incessantemente alle richieste di amicizia. Arriveranno da femmine, maschi e transeunti sessuali più disparati e disperati. L’importante sarà non staccare mai il dito dal mouse. Quanti più amici avrai più il gruppo avrà successo. E quanto più successo “otterremo”, tanto meglio sarà anche per te. Ma la cosa più inverosimile (ho appena bestemmiato, dovrei arrendermi e credere nell’incredibile di Internet) è che tanti profili si attaccano a quello di Giada. Vogliono “conoscerla meglio”. Dalla signora Josefina, di anni 65, che le chiede da quale parte del Sud Italia provenga (chissà che non abbia in mente un viaggetto tra storia e arte, rovine e immondizia….) a Christian da Francoforte, che è quasi sicuro di averla vista in un locale di Madrid di cui non ricorda il nome. Manuel la inviterebbe volentieri a bere qualcosa in un “bar di copas”.
Che peccato. Anche se volesse, Giada non potrebbe bere. Non ha trachea, né fiato. E neppure lacrime da riversare su di un mondo fasullo.
Perché Lei vive alla periferia della realtà. Lei vive fuori, e invita gente nel suo cortile per allodole in una casa di marzapane, e vive dentro rinchiusa nel vuoto di un seminterrato digitale.