Interpretare un genio, come fanno Tom Hulce in Amadeus o Russel Crowe in A Beautiful Mind, oppure una persona affetta da grave disabilità come il Christy Brown di Daniel Day-Lewis o il Raymond Babbit di Dustin Hoffman, è senz’altro un buon viatico sulla strada che porta al Dolby Theater. Nessuno si stupirebbe, dunque, se ad alzare la prossima statuetta come miglior attore protagonista toccasse a Eddie Redmayne, che rende, con straordinaria, dolcezza il dramma umano e le glorie accademiche del cosmologo Stephen Hawking.
Sorprenderebbe ancora meno l’assegnazione dell’Oscar alla protagonista femminile Felicity Jones, definitivamente consacrata dall’Academy.
C’è poco altro ne La teoria del tutto. Il film è fin troppo patetico, discontinuo nel narrare l’altra faccia della vita di Hawking, quella di scienziato e divulgatore. Un presepe di comprimari e una fotografia eccessivamente morbida trasformano una storia unica in una melassa dai toni fiabeschi.
Luigi Buò