Le lettere tra il poeta Ugo Foscolo (1778-1827) e Antonietta Fagnani Arese (1778-1847), colta nobildonna milanese, rendono giustizia a un’intimità, messa a fuoco nel fiorire di un’età e nel propagarsi di un’identità poetica densa ed espressiva.
Otto mesi e centotrentasei lettere, sepolte nell’opera foscoliana e venute alla luce come la scoperta di un itinerario di uomo e di letterato, in una Milano, affascinante patria ampia del lusso e del pettegolezzo, della Scala e di Napoleone.
Un uomo che ha consegnato all’Ottocento un’eredità poetica, appoggiato ad Alfieri e a Parini (“il personaggio più dignitoso e più eloquente ch’io abbia mai conosciuto”, che Foscolo aveva conosciuto realmente, come documenta nella terza lezione Della morale letteraria, e collocato nel boschetto di tigli di Porta Orientale, lo stesso sfondo in cui sarà evocato nei Sepolcri), ma che è riuscito, come scrive De Sanctis, a far vibrare le nuove corde della restaurazione poetica ed etica, recuperando l’immagine di una nuova umanità.
Attraverso queste lettere che assomigliano a un romanzo involontario, “un po’ abbozzo dell’Ortis in elaborazione perpetua, e anche, e soprattutto, sua pratica e interessata applicazione all’esperienza vissuta”, come scrive Edoardo Sanguineti, si assiste a un teatro di scambio nel velo del sogno, ad un amore vigile e premuroso, sensuale e passionale, visto nelle trame sottili dell’invisibile, nei margini della storia divenuti presenza immortale.
Alla traslazione delle figure, come gli affettuosi epiteti o addirittura all’attribuzione di canoni familiari dati all’amante, si accompagna una esistenza sotterranea e celata, un’anima che si affida a una poesia evocatrice del destino, dove anche il mito serve a delineare una felicità perduta, in cui la condizione umana è segnata dal dolore e dal desiderio di salvezza, dall’esilio, dal ritorno, dall’urgenza del vivere, nel tentativo quasi impossibile di un’armonia sconosciuta e misteriosa.
L’incontro tra due espressioni di vitalità avviene in una domenica mattina d’estate di inizio ottocento in un caffè milanese e si protrarrà per otto mesi più un anno di rimpianti e gelosie.
È un diario di intimità poggiato sulle linee del tempo.
Tempo interrotto e ripreso, tempo accumulato, tempo involontario di un romanzo ampio e vitale, coinvolto nei grandi modelli dell’epoca, come Goethe e Rousseau, quest’ultimo secondo Starobinski, mito della trasparenza assoluta, ripreso così da Foscolo: <<Mostrarti, scrivendoti, tutta la mia anima>>.
L’autore vive la battaglia di quest’amore in un’epoca di esilio e straniamento, come si definisce egli stesso “romanzetto ambulante” o per una totale identificazione con il suo personaggio “il tuo Ortis”: <<Chiamami romanzo, ed hai forse ragione; ma non lo sono per elezione…io devo alla natura questa ardente immaginazione e questo cuore che mi hanno fatto soffrire tanti tormenti, ma che non sono stati mai domati, né dall’esperienza, né dalle sventure>>.
Ed ecco che il foglio epistolare risulta un’evidente affermazione di un bisogno di felicità, in cui si affermi la sostanza strutturale e profonda del cuore umano, che cade nell’irrazionale illusione e in ciò che lo stesso Sanguineti chiama “squisita patologia passionale”, finendo per entrare nella stanza del travaglio e della dura malinconia soffusa.
Questa affettività vigorosa rispecchia il suo travaglio ed è una storia di un’anima, di un peregrino di felicità che entra nelle zone nevralgiche del romanzesco e ne esce alla fine del carteggio, quando il suo personaggio (o alter ego) è stato sconfitto dalla nuova cifra umana, dalle nuove illusioni della realtà.
La donna dell’ode “All’amica risanata” è anch’essa sottoposta alle leggi universali del tempo e della materia, di un Nulla incombente, mitigato dall’aura rasserenante e immutabile della poesia.
Ma in questa cupezza di intenti, apparenti come la superficie, si rinnova la promessa di felicità impressa nel cuore e raccolta dal fare poetico, viva e invano soffocata dall’ideologia, eredità dell’Illuminismo e della Rivoluzione.