Questa rubrica non scriverà dotti saggi su un campo sterminato ma già ampiamente dissodato da specialisti esperti in importanti discipline e se si occuperà dei tipici aspetti storici della canzone napoletana lo farà solo di passaggio; non conterrà esaustive biografie su autori e interpreti né si cimenterà in letture sociologiche o antropologiche, per quanto preziose a chi cerca di comprendere un fenomeno artistico che continua a sorprendere l’intero mondo e che, ad onta di tutto, presenta risvolti tuttora in parte inesplicati. Questa rubrica – scritta oltre tutto da una non-napoletana, peccato originale di cui vanamente cerco di redimermi da tutta la vita – ha uno scopo essenzialmente pragmatico e nasce da un’esperienza personale molto concreta. La canzone napoletana – e non aggiungo classica, nuova, contemporanea, antica - può contribuire a salvare dalla depressione, uno dei mali oscuri dell’epoca nostra. Lo so per certo, l’ho verificato su di me.
Ma se ha un simile potere terapeutico ci deve essere una ragione, che a mio avviso non si esaurisce nel semplice healing della musica (musictherapy) o in quello, meno noto, della poesia (poetrytherapy) e probabilmente neppure nella summa di entrambe le componenti. C’è qualcosa di più e chi ascolta con attenzione, più e più volte, alcuni particolari brani, non tarda ad accorgersene. Certe canzoni napoletane semplicemente esprimono, in una sintesi che ha del prodigioso, un’intera Weltanschauung, una filosofia di vita pronta per l’uso. E’ il caso, per esempio, di “Tarantella Internazionale”, pezzo “presentato alla Piedigrotta Gennarelli del 1926; fu Gennaro Pasquariello il primo a interpretare questo brano la cui musica venne composta dal maestro Ernesto Tagliaferri per le parole di Ernesto Murolo” (dal Sito Archivio Storico della Canzone Napoletana). In una classificazione del tutto personale che mi sono inventata, lo confesso, sulla Canzone Filosofica (che come genere codificato naturalmente non esisteva fino a due minuti da, mentre già esistono una “Filosofia della Musica” e una “Poesia Filosofica”) ho catalogato per praticità “Tarantella Internazionale” tra le “canzoni corali”, a causa di alcuni accenni specifici che ora cercherò di evidenziare. Per chi volesse far precedere l’ascolto alla lettura, ecco due link ad hoc: il primo
http://www.youtube.com/watch?v=tDYxsC7AHJI
riporta l’interpretazione di Maria Paris, elegantissima ma priva della terza strofa, proprio quella che considero più significativa dal punto di vista della Napolisofia, mentre nel secondo Francesca Marini canta il testo intero:
http://www.youtube.com/watch?v=Wk7yWkiIqJI
Ora vediamolo insieme:
“Tarante’! / Mari’, pecché te si’ sbizzarrita / cu chesti mmuseche furastiere? / Tarante’! / Mo cu “Valenzia”, mo cu “Paquita”/ napulitano nun cante cchiù! // Se scetassero / tutt”e ccanzone ‘e nu seculo, / fatte a Napule / primma ‘e sti mmùseche oje ne’. / Datammillo nu tammurro: / voglio ‘o popolo attuorno a me! // Qua’ spagnola? Qua’ americana? / Ma s’ ‘o ccredono o fanno apposta? /
Chest’è musica paisana! / Chest’è pane d’ a casa nosta! / Chist’è Napule quann’abballa: / Tarantella, Tarante’!”.
Datemi il tamburo, voglio il popolo intorno a me: ecco il Coro, componente cruciale per la celebrazione del rito. Il Coro è Napoli, entificata come spesso avviene nelle sue canzoni, non solo corali: si veda ad esempio Nino Fiore in Napule è Chin’ ‘e Femmene, su cui intendo ritornare al più presto parlando di NAPOLI, EROS E ANTEROS.
http://www.youtube.com/watch?v=aUJZTV2yXWw
E qual è il rito che si celebra al ritmo incalzante degli strumenti più tradizionali, gli stessi con cui l’antico Dioniso santificava – ai tempi della Magna Graecia e prima ancora, il trionfo della vita? E’ quello del pane, della casa, del canto che diviene arte, cioè linguaggio universale:
“Tarante’! / Tammorre e zuoccole Culumbina, / Pulecenella cu ‘o cuppulone. / Tarante’! / Mo si’ Spagnola, si’ Parigina, / e ‘a gente crede ch’è nuvità! // Nu’ pe’ dicere, / chesta è ‘a scuperta ‘e ll’America. / Basta sentere / pe’ tutt’ ‘o munno canta’, / cu chitarre e manduline / “Funiculí – funiculá” // Qua’ spagnola? qua’ americana? (…)”
Ma qui è anche, o soprattutto, il rito del sentimento amoroso che si fa libero e si esprime in perfetta sintonia con la natura:
“Tarante’! / Cu stu ciardino,cu ‘sta serata, / che vuo’ “Valenzia”, che vuo’ “Paquita”? / Tarante’! / Voglio ‘a canzone cchiù appassiunata, / cchiù bella e antica, cantata ‘a te… // Canta e guardame /
st’uocchie ca ridono e chiagnono… / Canta e a ll’urdemo / mme vide allero turna’. / Cu na rosa ‘mmiez’ ‘e diente / Tarantella, voglio abballá! // Qua’ spagnola? Qua’ americana? (…)”
Il giardino, in cui (come sognava Carducci in “Jaufré Rudel”: “Sì come a la notte di maggio / la luna da i nuvoli fuora / diffonde il suo candido raggio / su’l mondo che vegeta e odora”) la terra stessa si manifesta come Amore; il canto, attraverso il quale la passione si trasmette e si sublima; la danza, ove convogliare con grazia e potenza le energie straripanti che è impossibile trattenere nel cuore: tutto complotta nella direzione di un livello di sintesi nuova in cui alla fine si accetta l’ambivalenza di base della natura umana. Non per caso l’innamorato chiede alla sua donna di guardare – e quindi di accettare – nei suoi occhi il pianto e il riso, presenti contemporaneamente, perché solo a questa condizione potrà prevalere alla fine l’allegria, ossia il lato in fiore, buono e bello della vita. Proprio come in molte teologie e filosofie, l’arcaica lotta tra bene e male nella piccola Tarantella (Internazionale, però, perché pur nascendo a Napoli – o forse proprio per questo – si rivolge a tutto il mondo) si risolve con uno spettacolare lieto fine e “a ll’urdemo” l’angoscia dell’amante si trasforma in una gioia di vivere a tutto tondo: “abballá cu na rosa ‘mmiez’ ‘e diente”, dove la rosa che ha fiore, foglia e spina su un unico stelo è simbolo di completezza individuale e concreta, di festante accettazione della vita.
Il segreto filosofico – la filosofia nascosta – di Tarantella Internazionale sta qui; è il segreto di una coralità che incessantemente trapassa nell’individualità e viceversa, un circolo senza fine e senza inizio in cui ogni anima sofferente può ritrovare se stessa e le proprie radici, curando ferite mai chiuse e, finalmente, guarendole.