È un otto marzo tragico per le donne egiziane. Compagne, alleate, pasionarie, e spesso autentiche protagoniste della cosiddetta primavera araba, oggi più che mai sentono il macigno del tradimento e della discriminazione.
Nella data della loro festa la marcia che avevano organizzato nel cuore del Cairo è stata brutalmente soffocata. «Non è affatto il momento per le vostre manifestazioni», avrebbero intimato alle attiviste i tanti maschi delle forze militari che ora presidiano in modo permanente il centro del Cairo.
«Il nuovo Egitto lascia indietro le donne» titola l’odierna edizione on-line dell’emittente Al Jazeera. E in molte, dalla capitale ad Alessandria, condividono quest’opinione: «Il sangue delle donne che sono state uccise nella protesta è ancora fresco: e già ci stanno tradendo», ha dichiarato al New Yorker, Nawal Al Saadawi, la più famosa femminista egiziana, vera madrina della rivoluzione. A 71 anni di cui molti passati in carcere come dissidente, è stata sempre in prima fila, con i suoi capelli bianchi, a Piazza Tahrir dal primo giorno di protesta.
Durante la notte al Cairo proprio una donna è rimasta uccisa a seguito di tafferugli esplosi fra cristiani e musulmani, nel quartiere di Moqattam. La vittima si chiamava Mina Fares Hanna, ed era una cristiana copta. Pare che ad attaccare per primi siano stati i musulmani salafiti, poi la situazione è tragicamente degenerata. Naturalmente si tratta di un segnale preoccupante per il nuovo Egitto che aspira alla democrazia e alla civile convivenza religiosa.
Ma per le donne l’amarezza non finisce qui, perché una pesante delusione è arrivata dagli stessi nuovi vertici governativi del post- Mubarak: dopo le tante settimane di lotta e rivendicazioni al fianco dei ribelli uomini, nel Consiglio incaricato di riscrivere la Costituzione e delineare il futuro del nuovo Egitto non è ancora stata chiamata nessuna donna.