Italo Calvino (1923-1985) è stato, assieme a Primo Levi e per certi versi a Pier Paolo Pasolini, uno degli autori del ‘900, più conosciuto all’estero, per ciò che alimenta e per ciò che ancora provoca. Per la sua produzione fertile, per la sua critica piena d’acume e per il suo rigoroso ordine compositivo. La sua letteratura abita gli ordini extrasoggettivi, analizza la complessità del mondo e tende alla verità, come egli stesso scrive ne Il cavaliere inesistente: <<E’ verso la verità che corriamo, la penna e io, la verità che aspetto sempre che mi venga incontro, dal fondo di una pagina bianca>>. Alla sensibilità calviniana non è estranea la complessità del mondo, la sua mutilazione e il suo caos incontrollabile. Ma non perde mai di vista il punto di vista stupito e curioso del bambino, che coglie l’aspetto e la prospettiva magica della realtà, la fiaba, la fantasia-specchio. C’è dunque una verità, un disegno, un ordine a cui l’esistenza, con la sua urgenza, tende. Ma la ragione non riesce a tracciare i confini, le forme, i tratti di quest’ordine. La poesia, la letteratura, l’arte combattono la loro battaglia imperitura, affermano il loro tesoro indicibile, i loro segni, esprimono la conoscenza analitica delle cose ma anche la loro ambiguità. Sin dal suo romanzo d’esordio Il sentiero dei nidi di ragno, Pin, il protagonista, contiene un segreto inconfessabile, la pistola che ha rubato a un tedesco, che solo a Cugino, il suo “Grande Amico” potrà esser rivelato. La vicenda del Visconte dimezzato,“dimidiato, mutilato, incompleto”, o quella del signor Palomar sembrano protese a contenere in un unico atto inscindibile tutta la realtà: <<Il signor Palomar nuota sott’acqua; emerge; ecco la spada! Un giorno un occhio uscì dal mare, e la spada, che già era lì ad attenderlo, potè finalmente sfoggiare tutta la snellezza della sua punta acuta e il suo fulgore scintillante. Erano fatti l’uno per l’altra, spada e occhio: e forse non la nascita dell’occhio ha fatto nascere la spada ma viceversa, perché la spada non poteva fare a meno d’un occhio che la guardasse al suo vertice>>. Dalla tradizione ariostesca (<<Ariosto così pieno d’amore per la vita, così realista, così umano>>) Calvino assume il tono lirico e fiabesco ma non si assiste alla divisione tra impegno ed evasione . ma come si può ricomporre la ferita, il dimezzamento? In un saggio del 1955, Il midollo del leone, Calvino riporta due espressioni-cardine:”pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà” o come scrive egli stesso nella prefazione al Sentiero dei nidi di ragno: <<La memoria, – o meglio l’esperienza, che è la memoria più la ferita che ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso – l’esperienza primo nutrimento anche dell’opera letteraria (ma non solo di quella), ricchezza vera dello scrittore (ma non solo di lui), ecco che appena ha dato forma a un’opera letteraria insecchisse, si distrugge (…) non mi servono le pagine, avrei bisogno di tutto il resto, proprio di quello che lì non c’è>>. Questo è il lancinante paradosso della scrittura, quasi che Calvino volesse rimanere di fronte al fatto, alla purezza del fatto senza tradirlo, come accade ne Le città invisibili, dove uno stanco Kublai Kan afferma:<< Tutto è inutile se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale ed è là in fondo che in una spirale sempre più stretta ci risucchia la corrente>>. Gli risponde Marco Polo: <<L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà. Se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando assieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti. Accettare l’inferno e farne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi o che cosa in mezzo all’inferno non è inferno e farlo durare, e dargli spazio>>. Scrive Pietro Baroni: <<Nell’attesa dell’esperienza d’amore Calvino percepisce la consistenza di sé, il valore dell’uomo e allo stesso tempo l’energia che sostiene il mondo>> e per ritornare a Calvino stesso: << L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo>>. L’amore dunque come esperienza di compimento, come approdo ma sempre con qualcosa di incompiuto, di non salvo, di non vissuto e forse di non accaduto, come testimoniano Gli amori difficili o Il cavaliere inesistente. Nel 1963 pubblica un romanzo che è il vertice della sua produzione: La giornata di uno scrutatore.
Figlio di una forte esperienza nel Cottolengo torinese, descrive l’esperienza di Amerigo Ormea, uomo ancorato a posizioni ideologiche nette e impregnate di illuminismo, mandato dal PCI a fare lo scrutatore in un seggio all’interno della “Piccola Casa della Divina Provvidenza viene colpito dal fatto che “alla fine della corsia” c’è un ragazzo “deficiente seduto su una seggiola da una parte del letto”, e “dall’altra parte del letto un vecchio col cappello, certamente suo padre, venuto quella domenica in visita, il padre schiacciava al figlio delle mandorle, e gliele passava attraverso al letto, e il figlio le prendeva e lentamente portava alla bocca. E il padre lo guardava masticare.” Nello scontro di idee e di sguardo su quell’avvenimento mentre una vecchia suora assiste con occhi lieti quei malati “ciò che gli stava a cuore non erano i suoi discorsi, ma ancora la presenza di quel contadino e di suo figlio, che gli indicavano un territorio per lui sconosciuto”. Un amore segreto, sconosciuto nato dalle mani candide di quel vecchio che scompagina le idee sul mondo. <<L’amore, scrive Valerio Capasa, segna il perimetro dell’umano, ne fissa, dilatandone i confini: si capisce cos’è l’umano da come si vive l’amore, si capisce quello che sei da quello che ami. E l’umano, appunto, svelato da ciò che si ama, è sempre qualcosa che si scopre, che non si sapeva già, che si rivela inaspettato>>. Amerigo alla finestra, in un rosso tramonto, getta un ultimo sguardo su quella città, dove nani e giganti spingono carriole e carretti e ridono, la pagina di Calvino si chiude in uno angolo di cielo.