La poesia di Franco Buffoni (1948), recentemente raccolta in un bellissimo Oscar Mondadori, con introduzione e cura di Massimo Gezzi, raccoglie due dorsali decisive e fondamentali: la memoria, racchiusa in luoghi e tempi, e collocata in un margine individuale che recupera le «radici piantate» della Storia, e l’esperienza personale e culturale, che vive di una intensità attenta, rigogliosa, vitale.
Nonostante l’esordio, un po’ più tardo rispetto ad altri poeti della sua stessa generazione, come De Angelis e Magrelli, la sua poesia frequenta i risvolti di una lenta germinazione, protesa alla maturazione e a una completezza accesa e convergente.
L’intensa formazione universitaria e la conoscenza delle lingue e delle letterature determinano, sin dalla sua prima opera Nell’acqua degli occhi, “le mosse dalla metà più specificatamente fantaisiste dell’opera di Laforgue e che trova da noi il principale punto di riferimento (…) nella documentazione in versi del gran gioco palazzeschiano”, come scrive Giovanni Raboni.
L’allusione e il crinale del suo bagaglio letterario sono il sostegno di una ironia pudica e di una divertita tensione nascosta.
Il dettaglio memoriale, meno denotativo rispetto ad altri lombardi a lui contemporanei, sussiste in una restituzione di tempo, di frammento e di ricordo riaperto e stratificato.
Un’operazione di sintesi e di attuazione memoriale collettiva e individuale, in cui lo scorcio e la visualità divengono strumento di conoscenza e condizione e fanno luce sulla storia e le sue scorze clandestine.
La connessione di microstoria e macrostoria, se da un lato aprono il varco al sostegno di una congiunzione spazio-temporale, dall’altro formano il nome diverso a conflitti irrisolti (come quello con il padre) e a fratture.
La cosiddetta poesia dell’ “anamorfosi”, come ha scritto acutamente Giovanna Ioli, rivela la tendenza all’empirismo e a uno scenario profondamente laico.
Il diaframma eroico-comico, emerso sin da Quaranta a quindici del 1987, rendono luce al binario di dialoghi continui e ininterrotti e alla soglia che unisce «il gioco dell’intelligenza e lo sgomento del nulla».
Il linguaggio, pertanto, rappresenta la possibilità di un’espressione compiuta, laddove il colore delle parole racchiude il germoglio e l’approdo verso una tensione ricolma.
Con la trilogia della sua Bildung personale, come Suora carmelitana e altri racconti in versi (1997), Il profilo del Rosa (2000) e Theios (2001), lo scavo si fa campitura esistenziale di formazione, che impronta il ricordo a divenire scorciata non evasiva, in cui il mistero dei luoghi e dei volti proclama il suo impasto che prolunga l’allusione e l’ellissi spazio-tempo: «Come un polittico che si apre/ E dentro c’è la storia/ Ma si apre ogni tanto/ Solo nelle occasioni, / Fuori invece è monocromo / Grigio per tutti i giorni, / La sensazione di non essere più in grado, / Di non sapere più ricordare».
Il recupero della memoria affiora nella sua incompletezza e nella visualità proustiana e bergsoniana.
L’oscillazione di Buffoni negli interstizi del tempo, come avviene in Il profilo del Rosa, mettono in luce «la descrizione in versi di una crescita, dall’infanzia all’adolescenza all’età matura, fino alla previsione di vecchiaia dell’ultima sezione» e delineano lo svolgimento dei luoghi, in un paesaggio in cui la figuralità umana si geometrizza, acuendo su di sé la scultura lucente dell’estraneità, della retrospettiva del dolore e della sua soglia.
L’infanzia, costellata di volti ed oggetti, la ribellione dell’adolescenza, con i conflitti drammaticamente irrisolti, l’amore omoerotico con la pienezza piana e sensuale dei risvolti (come accadrà in Noi e loro (2008)), chiudono il suo palinsesto di remote suggestioni e crescita personale, lasciando avvertire l’evidenza di un “ponte tra mondo dell’infanzia e mondo adulto, una coalizione fra esperienza e conoscenza” (A.Baldacci).
Quando la lingua della poesia raccoglie al suo interno l’uso quotidiano e vorticoso di vezzeggiativi e carte infantili, ecco che avviene la stratificazione del tempo e l’esclusione adulta sorseggia lo sfarzo duro della malinconia.
Il progetto di un libro dedicato alla vita militare, estremo e abissale, come Guerra del 2005, registra la corrosione e l’amarezza che reca con sé le guerre, le latitudini di tutti i tempi e la violenza cosmica senza riparo: «Se il mondo è stato creato/ Per l’uomo e le sue esigenze/ Dio alla fine dei tempi/ Premierà le vittime della storia».