di Alberto Abbuonandi
Edizioni Il Chiostro – Benevento
prezzo di copertina euro 12
edizione 2007
Ho sempre pensato che ogni libro sia un viaggio. Viaggio tra pensieri, immagini, suoni, luoghi e vicende diverse. Ma ci sono indubbiamente dei libri che più degli altri “fanno viaggiare” il lettore. “Le streghe di Benevento e il simbolo dell’albero” è uno di questi. A cavallo di una scopa, l’autore ci accompagna in un lungo viaggio attraverso secoli di storia (dalla calata dei Longobardi fino ai giorni nostri), durante i quali incontriamo figure che popolano i nostri sogni (o incubi?) fin da quando siamo bambini e che si ripresentano oggigiorno sotto aspetti diversi, ma altrettanto pericolosi. Così scopriamo le differenze (meno profonde di quanto possiamo immaginare) tra streghe e fate, ianare e fattucchiere, inciarmatori ed occhiarole. Le vediamo cospargersi di intrugli portentosi e preparare miscugli malefici, danzare sfrenatamente sotto un albero nodoso (il noce?) e congiungersi carnalmente col diavolo sotto forma di caprone. Veniamo a sapere, senza meravigliarci più di tanto, che con esse sono strettamente imparentate quelle figure di megere che, ai giorni nostri, affollano l’etere nelle vesti di cartomanti e astrologhe. E veniamo anche a sapere, stavolta con grande meraviglia, che nella città più densamente popolata di streghe di tutti i tempi, Benevento, capitale del Sabba, luogo eletto del demonio, la terribilissima e “santa” Inquisizione non ha mai alzato un rogo per bruciare una strega. E forse (udite udite) non ne ha mai nemmeno condannata una.
Fin qui, tutti i pregi di questo buon libro che, a onor del vero, ha anche qualche limite. Ad esempio, quello di uno stile un po’ troppo lezioso, dell’uso di un lessico talvolta desueto (ma probabilmente ciò è il riflesso del carattere dell’autore, che tutti dicono essere “un galantuomo d’altri tempi”) e di una eccessiva ripetizione delle medesime informazioni nei diversi capitoletti.
Ma si tratta di peccati davvero veniali, perché il testo, nel suo complesso, è molto interessante. Apprezzabili anche la cura editoriale, la scelta della copertina e la qualità della carta spessa e consistente, che scorre piacevolmente sotto le dita. Un plauso, dunque, a questa casa editrice nostrana.
Del resto, il successo editoriale parla da solo: le copie della prima edizione sono state esaurite in ben poco tempo.
Meritano un discorso a parte i contributi “extra” presenti nel libro, a partire dalla prefazione di Domenico Rea, indubbiamente autorevole. Gradevolissimo l’intermezzo poetico dell’autore stesso. Preziosa e raffinata la postfazione di monsignor Pasquale Maria Mainolfi, sui rapporti tra superstizioni, Fede e Ragione. Piacevole e interessante, anche se dal gusto un po’…”pubblicitario”, il racconto finale sul Liquore Strega, a firma di Mario Collarile.
E proprio come il liquore, questo libro lo si può gustare a seconda delle preferenze: a piccoli sorsi o tutto d’un fiato. E’ buono lo stesso.