Solo chi conosce davvero i propri limiti, può sperare di superarli. Solo chi ha dovuto difendersi dalle avversità, sa come attaccare il nemico senza colpi bassi. Solo chi riesce a perdere a testa alta, gusta il piacere della vittoria senza cullarsi su corone d’alloro, perché sa che prima o poi appassiranno.
Nei giorni più caldi di Sudafrica 2010 vi offriamo la biografia di un ragazzo che avrebbe potuto rimanere uno scherzo della natura, e invece ne è divenuto fenomeno. A soli 23 anni è un’icona dello sport e del calcio mondiale. Ecco a voi Lionel Andrés Messi, meglio conosciuto come Leo Messi. Universalmente soprannominato la pulga, ovvero la pulce, per via della statura risicata (169 cm) e delle sua capacità di scartare gli avversari letteralmente “saltando via” ad ogni possibile contropiede e stordendo i difensori con un dribbling a dir poco micidiale.
Nato a Rosario (Argentina) il 24 Giugno 1987, Leo veste due gloriose maglie: quella blaugrana del Barcelona Football Club e quella della terra che gli ha dato i natali, l’Argentina. Le ha onorate entrambe, ma è con la prima che è arrivato nel Gotha del calcio mondiale vincendo Champions League, Liga (il campionato spagnolo), Copa del Rey, Mondiale per club e conquistando il Pallone d’oro per la stagione 2009.
Più forte della malattia
Il piccolo Leo ha solo otto anni. Da almeno tre gioca a calcio nel Grandoli, la squadra allenata dal papà. È poco più di uno scricciolo, e riesce a infilarsi come nessuno tra le gambe degli avversari, ma il suo destino è impietoso quando gli viene diagnosticata una rara forma di nanismo ipofisario. In poche parole, senza un adeguato trattamento medico, rimarrà per sempre un nanerottolo. L’unica speranza è sottoporsi a un trattamento speciale, molto caro e abbastanza doloroso per poter sperare in uno sviluppo degli arti almeno dignitoso. <<Non dimenticherò mai le sere in cui steso sul mio letto, mi iniettavano nelle gambe le sostanze di cui avevo bisogno; posso assicurare che non era affatto divertente, ma era talmente forte la voglia di diventare un calciatore che non mi costò fare quel sacrificio>>.
Il problema nasce quando la famiglia di Leo non riesce più a permettersi di sostenere le cure. <<Mamma e papà le provarono tutte, e a loro sarò grato per sempre per tutto quello che hanno fatto per me. Alla fine la soluzione arrivò in Spagna>>. E dalla Spagna la pulga incanta milioni di tifosi e appassionati. Campione bonsai con un baricentro del corpo più basso rispetto a corporature più longilinee, Messi non si limita a controllare la palla. Lui la palla la domina.
L’arrivo in Spagna: la speranza di cambiare vita
È qui che il faro del destino girerà dalla sua parte, in maniera rocambolesca, perché la sorte spesso va aiutata. L’uomo del fato per Leo si chiama Carles Rexach, ed è il direttore sportivo del Barcellona. Lo ha osservato durante una delle sue tante peregrinazioni nei campetti di tutto il mondo. Lo ha visto bene, nonostante sia poco più di un nanerottolo, mentre veste la maglia di una squadra di periferia di nome Newell’s Old Boys. In effetti all’inizio lo stesso Rexach è dubbioso, perché il campione in erba è molto piccolo, non soltanto dal punto di vista anagrafico: ha solo 12 anni ed evidenti problemi di corporatura dovuti a una forma di deficienza di somatotropina. Poi decide di farlo arrivare comunque per un provino. Leo e i suoi hanno il cuore gonfio di speranza: sbarcare in Europa significa avere l’opportunità di calcare i campi da gioco più prestigiosi del mondo, ma anche e soprattutto trovare un rimedio farmacologico alla malattia del ragazzino, che rischia di rimanere per sempre un calciatore in miniatura. I genitori non hanno i mezzi per far fronte alle cure necessarie. Siamo nel 2000, agli albori della più grave crisi economica della storia argentina. Persino il River Plate, squadra illustre che ha dato i natali calcistici a un certo Diego Armando Maratona, pur essendo interessata a Leo, promette ma non mantiene nulla. Così alla famiglia Messi non resta che sperare e partire. Seguono i 16 giorni più lunghi per la pulce di Rosario: prove su prove ma Rexach non c’è. E’ volato in Australia, forse a caccia di altri talenti, e nel frattempo i dirigenti del Barça non hanno alcuna intenzione di assumersi la responsabilità di contrattualizzare un calciatore bonsai di appena 12 anni.
Mamma e papà Messi a quel punto sono pronti a far ritorno al porto d’origine, ma è qui che l’audacia del campione vien fuori in modo dirompente: <<Ricordo bene quando dovemmo prendere la difficile decisione di rimanere o tornare a casa. Mio padre mi chiese cosa volessi fare e io non ebbi alcun dubbio. Papà, gli dissi, io voglio rimanere. Glielo dissi con tutta la convinzione e allo stesso tempo la speranza di avverare un sogno. Non mi pentirò mai di quella scelta, che presi anche sapendo che la mia famiglia mi avrebbe appoggiato incondizionatamente>>.
Leo aveva visto la sua palla dentro. Il signor Rexach nel frattempo ritorna in Catalogna e così finalmente viene organizzata una partitella con dei ragazzi di 2 anni più grandi di Leo. Durante il match Messi corre come una gazzella, di tanto in tanto guarda sugli spalti. Rexach non c’è. Lo ha illuso di nuovo…<<Non fa niente – pensa il piccolo campione- Sono qui e me la giocherò tutta>>. In quei momenti c’è solo il collo del suo piede sinistro che ammalia il pallone e lo butta nella rete avversaria con un pallonetto delizioso. Proprio mentre nell’aria si sta disegnando l’arcobaleno del gol, mister Rexach fa il suo ingresso e ogni indugio svanisce. Leo deve vestire la maglia del Barça. La leggenda abbia inizio. Ma ci sono ancora degli intoppi da superare: i dirigenti della squadra non ne vogliono sapere, i tempi si allungano, Leo ha bisogno di cure, mamma e papà Messi non vogliono aspettare oltre e così si ritorna tutti in Argentina. Ma stavolta è Rexarch a non arrendersi: una volta convinti i suoi capi vola a Rosario e chiede di vedere la famiglia Messi. L’incontro avviene in un bar-caffetteria; il direttore sportivo non può permettersi un rifiuto, ha investito troppo su quel talento, ma la famiglia è titubante e papà Messi, che è un allenatore, conosce il mondo del calcio e i pescecani che vi nuotano dentro. Inoltre Leo è tremendamente piccolo e ha bisogno di costose iniezioni intramuscolari per sperare in una crescita accettabile. Quali garanzie gli offre quel ricco direttore dall’aria distratta e dai modi superficiali? È qui che arriva il colpo di scena, fulmineo come un gol su contropiede: i tempi legali per un contratto sono un’attesa insostenibile? Mettiamo tutto nero su bianco e facciamolo adesso senza aspettare avvocati e nulla osta dei boss del Barça. Leo dovrà “solo” trasferirsi in Spagna. Per sempre. A tutto il resto penserà il vivaio della squadra: studi, allenamenti e soprattutto cure ortopediche gratuite garantite. C’è solo un problema, però, come al solito Carles Rexach ha dimenticato qualcosa: non ha con sé neppure un foglio su cui scrivere il tutto. Poco male, pensa di lì a poco, in fondo siamo in una caffetteria e un fazzolettino di carta si trova sempre. Così Leo può firmare a soli 12 anni, su di un tovagliolo, il suo primo “contratto” con una delle squadre più gloriose d’Europa: il Barcellona Football Club.
<<Il pallone gli resta incollato al piede; ho visto grandi giocatori nella mia vita, ma nessuno con un controllo di palla come quello di Messi>>.
Il messaggio è firmato, nientepopodimeno che da Diego Armando Maradona. Niente da aggiungere a colui che per giustificare un fallo di mano ricorse addirittura alla Provvidenza Divina.