LO SPAZIO BIANCO di FRANCESCA COMENCINI ITA,09.
Maria, quarantenne single, è alle prese con una maternità prematura: sua figlia è in un’incubatrice, in “uno spazio bianco” tra la nascita e il nulla. Tratto dal bel romanzo della napoletana Valeria Parrella, è un bellissimo film. La regista, anche sceneggiatrice insieme a Federica Pontremoli, ha “scorporato” i passaggi emotivi, sganciandoli dalla levità insidiosa della parola, investendoli di una visualità-vita loro autonoma nella realtà quotidiana, materiale. Ma anch’essa come privata della pesantezza pervadente: era come illuminata dall’interno, in un ambiente fisico circostante, identificabilissimo, ma non occludente. La Napoli ricostruita è una città interna al cuore, correlata alla disperata, annaspante, ma eroica e forte volontà di vita che circonda la protagonista e la sua figlioletta; che, non a caso, è chiamata Irene, cioè “pace”, equilibrio, nuova volontà di ri-affrontare un futuro pieno di incognite. La capacità di fare un cinema trasognato ma tangibile e intimo, nello stesso tempo, è il tratto stilistico più evidente dell’autrice. Senza l’attrice Margherita Buy, probabilmente, il film non avrebbe avuto tutte quelle consonanze e sfumature segrete tra le due esistenze in bilico, e le altre in cerca, come il “collettivo” dei suoi studenti e delle altre mamme dell’ospedale.