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L’ordinamento penitenziario e la Chiesa nelle carceri

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Non esiste solitudine peggiore senza la cura degli affetti. La mission del volontariato carcerario continua: corso di formazione teologica pastorale nelle carceri, atto terzo. L’ordinamento penitenziario e la presenza della Chiesa nelle carceri: terza lezione del corso di formazione Perdono responsabile e giustizia riparativa: uno sguardo profetico, presso la Pontifica Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, sezione San Tommaso d’Aquino al Viale Colli Aminei. Relatori il dottore Antonio Sgambati, Vice Comandante Carcere di Poggioreale e la dottoressa Monica Amirante, Magistrato del Tribunale di Sorveglianza.

Gli argomenti trattati e qui in brevi accenni evidenziati – Nel processo di evoluzione del sistema penale italiano giudiziario e penitenziario, un ruolo di primo piano è da riconoscere sicuramente alla Chiesa; una presenza diversificata a seconda dei tempi ed a seconda dei modelli culturali, seguendo sempre però il filo conduttore del desiderio di porre il valore della dignità della persona umana al centro della vicenda detentiva e cercando di mitigare le sofferenze e le pene, portando sempre una parola di speranza ed un conforto spirituale nelle carceri. La presenza della Chiesa nelle carceri esprime questo suo mandato divino con i cappellani, le religiose e i volontari che non vanno considerati dei semplici addetti ai lavori, ma parte integrante dell’azione pastorale della Chiesa locale. La pastorale carceraria presenta una sua specificità perché si attua in una struttura particolare, con persone in condizioni di vita in cattività. Il carcere non è come l’ospedale, dove ammalati e operatori collaborano per la guarigione. Nel carcere l’uomo detenuto soffre la privazione della libertà, la struttura in sé è contro l’uomo, è antiumana. In tal senso, espressione di vera evangelizzazione è riconoscere e difendere la dignità dell’uomo detenuto e rivendicarne i diritti, umani e religiosi. Il nuovo Ordinamento penitenziario del 1975, e i successivi aggiornamenti legislativi, hanno aperto definitivamente il carcere al mondo esterno. L’ingresso dei volontari nel carcere e il lavoro svolto dai medesimi nell’istituto sono disciplinati da due articoli dell’Ordinamento penitenziario e da due articoli del Regolamento di esecuzione che distinguono due diverse forme di partecipazione: l’assistente volontario (art. 78 O. P., 107 R. e.) e la comunità esterna (art.17 O. P., 63 R. e.). L’assistente volontario, in base ai suddetti articoli e anche alla recente circolare del DAP n. 468018 del 23 giugno 1992, è <<persona idonea all’assistenza e all’educazione, ed autorizzata a frequentare gli istituti penitenziari per partecipare all’opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati e al futuro reinserimento nella vita sociale, ovvero a collaborare coi centri di servizio sociale per l’affidamento in prova, per il regime di semilibertà e per l’assistenza ai dimessi ed alle loro famiglie>>.

I relatori della terza lezione in Facoltà – dottore Antonio Sgambati: <<Il principio fondamentale da tenere a mente quando di entra in una realtà carceraria è la conoscenza, e questo non significa stringersi la mano, ma stilare un programma individualizzato di conoscenza…Noi con l’uniforme siamo visti come i cattivi, ma non è vero, perché tentiamo in tutti i modi di gestire le persone in maniera legale…portare avanti un istituto penitenziario è come fare un salto nel buio. Il carcere non è un mondo facile, ma nemmeno difficile. Carcere, luogo di pena e luogo di trasmissione di carità. Come? Con la collaborazione. Collaboriamo tutti insieme per la conoscenza>>; dottoressa Monica Amirante: <<La pena deve essere rieducativa ma non afflittiva, come sancito dall’art 27 comma 3 della Costituzione. Rieducazione non è un bel termine, fa pensare a esperienze di regimi autoritari che esercitano violenza sulla libertà morale delle persone per cambiarne l’animo. Ma la Costituzione, che è fondata sul rispetto della persona e della sua dignità, non la intende in questo senso, bensì in quello di percorso di risocializzazione, cioè di messa in opera di tutti gli strumenti di cui si possa disporre per promuovere, sostenere, incoraggiare un cammino, che fa affidamento in definitiva sulla libertà e sulla responsabilità della persona, affinché essa sviluppi una prospettiva di vita e di condotta in armonia con i diritti degli altri e con le esigenze della società in cui vive… Diffondete la cultura che la certezza della pena è cosa sbagliata…considerate che di fronte a voi c’è un essere umano che ha la possibilità di riabilitarsi…create con il detenuto un rapporto di amicizia, di fiducia, e se vuoi di affetto…e non date mai speranze quando non ne hanno… fate il vostro lavoro in modo critico, con attenzione e con la testa attiva… vedrete sarà gratificante per loro, ma soprattutto per voi>>.