Il ciabattino, il calzolaio, a Napoli più comunemente definito "scarparo". In realtà pochi sanno che è meglio di un chirurgo, bravo quanto un dottore specializzato nel donare una seconda vita alle calzature. Non è un lavoro attuale, nè un’ambizione a cui mirare. Eppure la scomparsa dei calzolai rappresenta una storia sorpassata dalle macchine, la tecnologia e gli automatismi che hanno progressivamente preso il posto delle dita di esperti artigiani dalle mani miracolose.Mario Esposito ha 64 anni. Sposato con tre figli grandi e ammogliati. Da 50 anni coltiva un’unica passione. Il mestiere, sudato e sacrificato, appreso dall’età di 8 anni. Un bambino e una scarpa. Una licenza media quasi presa ma bisognava lavorare. Altri tempi, con meno benessere e l’esigenza che premeva, quella di imparare un impiego, diverso dal padre, muratore. Il suo destino era un’arte manuale vecchissima, un’altra storia. Mario dice che il calzolaio è il mestiere più antico del mondo. Proprio quando inizia ad articolare il discorso, il pensiero è interrotto dall’ingresso di una cliente:<<Signora, per le scarpe nun ce’ stà niente ‘a fà, le suole non prendono proprio, non assorbono la colla>>. Poi emette la sentenza che non ammette altro grado di giudizio:<<Queste scarpe secondo me ‘e tenite ‘a quattre,cinc’ anne>>. La signora, convinta, dopo aver affermato la sua indiscussa fiducia nell’operato di Mario, ricordando come sia cliente da sempre, tuona prima di uscire:<<Iettatele!Se sò difettose, nun me dispiace..>>. Mario è un uomo dignitoso, un lavoratore che ha fatto delle tracce sulle mani uno stemma, un vanto. E’ al servizio del cliente praticamente da sempre. Da piccolo segue un mastro calzolaio, imitandolo, apprendendo l’arte e mettendo da parte, si sporca le mani e impara la vita. Quando si descrive sembra di vederlo da giovanissimo, armeggiando nella puteca tra chiodini, martelli e suole. Non è stato facile, lo ammette con la franchezza, sebbene oggi possa dire orgoglioso di averlo fatto suo, come qualcosa che, poggiando le mani sul braccio, hai nel sangue:<<Oramai è nel mio dna il mestiere, peccato non poterlo trasmettere>>. La fatica non è mai facile. Le difficoltà di un tempo forse non sono quelle di oggi, perchè "la scarpa era scarpa". E lui ne ha viste, di tutti i tipi, di ogni epoca, ognuna indossata da piedi piccoli e grandi, i 38 e i 46, ogni paio una storia alle spalle. Quelle che lavorava un tempo non sono quelle di oggi. Diversi i materiali, per questo il lavoro di una volta era più difficile. Dati i costi elevati, si tende ad acquistare scarpe di bassa qualità, realizzate con materiali non proprio buoni.Mario è di Ercolano, un calzolaio icona conosciuto da tutti nel quartiere. Chiunque si sia trovato senza tacco, o con la suola consumata dai chilometri macinati ogni giorno o ancora sul lavoro, con laccetti improvvisamente slacciati e da sostituire, è venuto qui almeno una volta. Ercolano è la sua culla natìa ed è realista al riguardo:<<Ercolano?E’ un bel presepe..sono i pastori che non sono buoni>>.Si sofferma sulle bellezze della città, sui suoi tesori non valorizzati abbastanza e grazie ai quali, secondo il suo punto di vista, potrebbero offrire lavoro e ricchezza a tanti, creando un maggiore benessere e opportunità. E’ una certa ignoranza diffusa ad affossare la città secondo Mario, lui che iniziò ad essere indipendente a 20 anni, lavorando autonomamente, da solo. Il suo orario di lavoro era già duro in passato e anche attualmente apre bottega alle 7 del mattino e chiude alle 8 di sera. Non è mai riuscito a trovare un ragazzo disposto a lavorare così tanto, in fondo è convinto non ci sia desiderio nè volontà. Ferma quindi gli attrezzi e mi guarda fisso:<<Ma chi si mette 12-13 ore al giorno a lavorare, su!Significa che quando i calzolai spariranno, dovranno andare tutti nei supermercati a comprare la colla>>. Sorridendo pensa ad un ragazzo qualsiasi che oggi avesse intenzione di fare il calzolaio: probabilmente avrebbe vergogna a dirlo alla propria ragazza. Sottolinea come nel tempo andato, il calzolaio fosse considerato da tutti una persona valida, un artigiano detentore di conoscenze e abilità rare, quelle chiavi di un mestiere unico, testimone di antiche tradizioni. Mario nè è fiero testimone. E’ amareggiato quando afferma che i modelli di consumo, la società opulenta del benessere, dell’ultimo telefonino alla moda, del motorino ultimo modello abbia rimbambito i giovani, incapaci di avvicinarsi all’artigianato, alla sua particolarità:<<Il troppo benessere di oggi ci butta al regresso…il troppo è troppo!>> ripete due volte, quasi a rimarcare in una piccola frase un pensiero ragionato e sensibile che racchiude la sociologia, l’antropologia e l’economia in quattro parole. Uno stakanovista del mestiere, Mario è convinto che si debba solo lavorare veramente. Il resto appartiene alle chiacchiere da bar. Ha tre figli, tutti sposati e trasferiti, ai quali ha provato a trasferire segreti e abilità ma senza successo, perchè ci vuole pazienza, la stessa che adopera mentre ne parla, inchiodando una suola nuovissima di zecca sotto un paio di scarpe nere lucide. La pazienza non manca mai, la cura nel saper ascoltare e soddifare ogni evenienza e richieste particolari, accogliendo in bottega tutti clienti, anche i più esigenti. Un mestiere faticato, ogni giorno, tutti i giorni, la sua vita vissuta in larga parte tra queste pareti gialle, con decine di scarpe alla parete. Riporta alla mente la stessa visione dei pannelli con scarpe che si può osservare nel famigerato "Metrò dell’arte" di Napoli, un’opera di Jannis Kounellis. Il lunedì mattina è chiuso, ma non si riposa mai. Destinazione Napoli. E’ dedicato alla spesa per il materiale, alla ricerca di tutto ciò che occorre per aggiustare, incollare, trasformare un paio di scarpe moribonde in un nuovo paio. Quante scarpe ci sono in giro non le si immaginerebbe a descriverle, figurarsi a contarle. Scarpe in rianimazione, scarpe in lista d’attesa, scarpe sugli scaffali che ricordano le barelle di pazienti che non trovano posto, sistemati nei corridoi degli ospedali, scarpe singole e scarpe accoppiate appese su lunghi assi di legno attaccati alle pareti. Si alternano alle pareti i quadri di immagini religiose e gli evergreen di Totò sul "credito che non si fa a nessuno", oppure in bianco e nero, ritratto in foto alle prese con altre scarpe, anch’egli nelle vesti dello "scarparo". Mario rammenta un episodio significativo, quasi a segnare il tempo andato che non c’è più:<<La domenica a mezzogiorno, se non si puliva e rassettava la puteca come si doveva, rischiavi di non avere le 300 lire al mese>>. La clientela odierna è prevalentemente di Ercolano. Non mancano i forestieri dei paesi limitrofi, perchè in fondo:<< tutti hanno bisogno del calzolaio, il povero e il miliardario, l’operaio e il signore. Il primo in particolare che a differenza del "figlio di papà" non ha i soldi per comprarle di nuovo>>.Mario racconta seduto le vicende e i fatti quotidiani della sua attività, lavorando contemporaneamente ad un altro paio di scarpe. Il banco degli attrezzi è nascosto, sommerso com’è da speciali pazienti con i lacci che attendono le cure più disparate. I cassetti ricolmi di chiodini, suole e scatolini dai quali estrae i bisturi della professione.Tra le gambe appoggia un’incudine, detta "la forma di ferro", acquistata decenni fa ad un mercato. Dice che ha più di un secolo ed è su questa che ritaglia e rifinisce la suola del modello che ha iniziato a trasformare al principio della nostra conversazione. Si prende una pausa, mi offre un caffè. Mostra due attrezzi, l’acciarino di forma cilindrica che serve ad affilare il tringetto, il coltello tipico utilizzato dai calzolai. La colla è di origine tedesca, un grande barattolo di Spezial, definita dagli addetti al settore-come tiene a specificare Mario-"la speciale". Di provenienza tedesca, di un giallo paglierino intenso, non si smentisce mai per qualità, affidabilità di durata. Garantice Mario. Le scarpe sono già nuove e pronte per essere ritirate, rivegliate dal coma in cui erano cadute, sprigionano ora vita e splendore, pronte per tornare a solcare marciapiedi e basolati, asfalto e scale, terreno battuto e pavimenti di uffici. Finita l’estate, l’autunno è alle porte e il lavoro riprende a pieno ritmo perchè:<<Per volere o volare, la scarpa si mette al piede>>. In giro sparse ed ammassate una sull’altra giacciono borse di tutti i tipi. Ha smesso di aggiustarle da molto per un motivo molto semplice: non venivano più ritirate per lo scarso valore. Ultimamente ne ha dovute buttare più di 50 che toglievano spazio alle scarpe. Ci salutiamo e si avvia a sedersi accanto ad un altro pezzo d’epoca, una singer usata per cucire e rifinire. Cotone ble e bianco posizionati. Un altro paio di scarpe è pronto per andare sotto i ferri del dottor Mario.