Un’ora di meditazione, all’incirca, è sufficiente a provocare un potente effetto analgesico sul nostro organismo, più di un farmaco antidolorifico. E’ quanto risulta da una ricerca condotta dal dottor Fadel Zeidan presso la Wake Forest University School of Medicine a Winston-Salem e pubblicata in questi giorni dal Journal of Neuroscience.
E’ stato dimostrato che la meditazione affievolisce di circa il 40% il dolore, mentre la morfina, ad esempio, o altri antidolorifici lo riducono del 25%.
Gli esperti hanno attuato l’esercizio su quindici volontari, alcuni dei quali hanno diminuito la sensibilità al dolore del 99%.
Secondo Zeidan la meditazione è comunemente ritenuta una forma esotica di “daydreaming”( cioè “sognare ad occhi aperti”) o una rapida soluzione di sollievo per una mente stressata; tuttavia, afferma l’autore della ricerca, essa ha il potere di operare importanti cambiamenti sulla salute psico-fisica della popolazione. Il suo consiglio è provarla.
Zeidan spiega che la parte più complessa della meditazione risulta essere quella iniziale: <<Al mio primo tentativo, anziché concentrarmi sul respiro e lasciar andare ogni pensiero, come suggeriva il mio maestro tibetano, sono stato assalito da una grande confusione mentale e poco dopo mi sono addormentato. Bisogna perseverare>>.
La continuità dell’esercizio è quanto consigliato anche dagli esperti meditatori.
Il monaco buddista Matthieu Ricard afferma che esistono numerose tecniche di meditazione, alcune delle quali penetrano più in profondità di altre nella psiche, e che la pratica di queste permette di superare le emozioni distruttive e dissipare ogni sofferenza.
La meditazione risulta essere una vera e propria palestra della mente grazie alla quale si può migliorare l’equilibrio e misurare i livelli di stress.
Studiosi quali Paul Ekman e Alan Wallace sostengono con convinzione di aver constatato che in seguito alla pratica della meditazione le persone diventano più empatiche e compassionevoli.
La scoperta non propone la meditazione come una drastica alternativa al farmaco, bensì come una possibile soluzione ai disturbi più lievi da cui si è affetti ma che possono minare la quotidianità di un individuo; basti pensare a chi è affetto spesso da cefalee, crampi o dolori articolari, tenendo presente che l’organismo sviluppa, a lungo andare, una sorta di assuefazione ai principi attivi contenuti negli analgesici.