E’ notizia di pochi giorni fa che la società sportiva calcio Napoli si è costituita parte civile nei confronti dei cinque tifosi che un paio di anni fa durante l’incontro casalingo contro il Frosinone si resero colpevoli di un violento scoppio di petardi. Potrebbe sembrare una classica mossa calcolata, un modo per indurre gli esponenti della politica e della giustizia sportiva a ridurre i provvedimenti sanzionatori inflitti alla società per gli accadimenti di Roma. Non è questo l’importante, senza voler essere maliziosi ad ogni costo. L’importante è lanciare segnali, quello che anche lo stato sta facendo. In negativo, purtroppo, mettendosi completamente nelle mani degli Ultras, sigla che già nel nome non promette nulla di buono. Questa storia del tifo organizzato è una anomala barzelletta tutta italiana. In Italia ci sono più club di tifosi che in tutta Europa. Non è detto che il nesso con il record di incidenti sia presente, ma almeno induce a riflettere. Consentire agli Ultras di gestire le curve significa esporsi a ricatti, ma soprattutto fidelizzarle. E questo induce coloro che sono al di fuori della massa a non sentirsi a proprio agio in quel contesto, poiché devono sottomettersi a delle regole da branco. Pensare di dover organizzare delle trasferte andando a trattare le modalità con gli Ultras significa inserire anche loro nel complesso sistema di gestione dell’ordine pubblico, ossia quasi riconoscerli come soggetto politico. Quando parlo di Ultras non faccio di tutt’erba un fascio. Semplicemente non ritengo sia questo il problema. Fossero anche tutti degli angioletti, non dovrebbero avere alcuna voce in capitolo in nessun contesto, come non la hanno tutti i tifosi normali. Non deve diventare sinonimo di soggetto interlocutore privilegiato a cui fare riferimento. Non si devono organizzare trasferte per loro. Non si devono creare treni speciali. Non possono andare a parlare con Trenitalia. Non devono esistere come soggetto politico. Come non esistiamo noi, definiti tifosi occasionali che mangiano il ragù davanti alla pay per view.