Un nuovo studio britannico durato due anni e pubblicato sul giornale scientifico The Lancet ha verificato gli effetti della meditazione comparandoli con quelli degli antidepressivi su un campione di 424 pazienti che presentavano in anamnesi almeno tre episodi di depressione maggiore.
I risultati evidenziano l’efficienza della pratica meditativa al pari degli antidepressivi nel prevenire o ritardare la comparsa di ricadute depressive e, pertanto, può essere utilizzata per quei pazienti che risultano intolleranti o rifiutano il trattamento psicofarmacologico.
La pratica meditativa in questione è costituita dal protocollo MBCT, il quale ha durata di otto settimane ed è basato sulla mindfulness (Leggi anche La Mindfulness modifica l’assetto cerebrale). Esso si pone come obiettivo quello di insegnare ai pazienti a riconoscere precocemente i pensieri e le sensazioni legate alle ricadute, per gestirle in maniera costruttiva, anziché reagirvi assecondando l’umore ed il vortice ruminativo.
Il concetto alla base è molto semplice: si insegna ad osservare i propri pensieri come semplici fenomeni della mente, che possono andare e venire, senza, dunque, scivolare nel vortice della ruminazione depressiva. L’assunzione di anti-depressivi non può che essere a lungo termine, mentre il protocollo mindfulness, sebbene impegnativo, non vincola le persone all’assunzione di una sostanza per un periodo indefinito, tant’è che la Bbc riferisce che questa terapia “potrebbe costituire una nuova opzione per milioni di persone con depressione ricorrente”.
In effetti, nonostante la depressione sia una psicopatologia invalidante e molto diffusa, il suo trattamento psicofarmacologico non ha riscontrato sostanziali miglioramenti, nonostante i progressi nella generale produzione farmacologica. Il fatto che l’MBCT si ponga come terapia alternativa all’assunzione del farmaco in fase di remissione dalla malattia e mantenimento dei risultati ottenuti rappresenta senz’altro una grande rivoluzione scientifica.