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Napoli carnale (prima parte)

Su un qualunque dizionario alla parola “carnale” viene attribuito più di un significato: per esempio, su TheFreeDictionary si trova:

agg. carnale – 1  mondano,  materiale, appartenente alla realtà concreta (essere attaccato alle cose carnali) – 2  sensuale, corporale, relativo ai sensi (passione carnale) – 3  sessuale, relativo al sesso (rapporto carnale, violenza carnale) – 4  consanguineo, della stessa famiglia (sorella carnale, cugini carnali)”.

Sul Dizionario online del Corriere della Sera leggiamo invece:

“carnale [car-nà-le] agg. – 1 Relativo al desiderio e all’unione sessuale: violenza c. 2 Che ha un rapporto di consanguineità; di primo grado: fratelli c.”

La Napolisofia non può accontentarsi di così poco, perché sa – sente – che nelle profondità animiche delle canzoni di Napoli c’è sicuramente ben altro, ben di più. Infatti, sul Sito YAHOO ANSWERS è presente una richiesta di chiarimenti proprio sull’uso napoletano del vocabolo. Purtroppo è stata fornita una risposta sola e per di più vaga, approssimativa. Tutto sommato, credo che il termine carnale sia adoperato nella canzone napoletana anche come sinonimo di passione, altra parola in pratica impossibile da definire. Come diceva Luciano Zuccoli[1], “chi non ha provato l’ansia dell’attesa, i lunghi tormenti del desiderio insoddisfatto, la paura di perdere la propria donna, i dubbi dell’assenza, non possa dire fino a quale altezza sappia giungere la passione.” Ansia, tormento, insoddisfazione, paura, dubbio: tutto qui? Solo negatività? Secondo Wikipedia. it

“passione deriva dal termine latino patior, che significa soffrire, provare, sopportare o patire. In altre parole, si tratta di un insieme di condizioni caratteristiche di un atteggiamento passivo dell’individuo, per opposizione agli stati di cui si è attivamente la causa. Tale senso del termine è rimasto ed un nuovo significato ne è derivato: la parola passione è adoperata difatti oggigiorno anche per riferirsi ad un’emozione che è più forte di noi, che in un certo senso si subisce, (…) La passione amorosa è il paradosso che vede la ragione scontrarsi con il desiderio per l’altro.”

In Wikipedia. org, però, c’è qualcosa di leggermente diverso:

“Passion (from the ancient Greek verb πάσχω (paskho) meaning to suffer or to endure) is an emotion applied to a very strong feeling about a person or thing. Passion is an intense emotion compelling feeling, enthusiasm, or desire for something. The term is also often applied to a lively or eager interest in or admiration for a proposal, cause, or activity or love. Passion can be expressed as a feeling of unusual excitement, enthusiasm or compelling emotion towards a subject, idea, person, or object. A person is said to have a passion for something when he has a strong positive affinity for it. A love for something and a passion for something are often used synonymously.”

Interessante, abbastanza da capire che bisognerà ritornarvi in una delle prossime puntate, quando parlerò di I’ TE VURRIA VASA’ e di ’NA ‘MMASCIATA, in quanto modelli di passione alla napoletana. Ma le definizioni di Wikipedia non sono purtroppo sufficienti (le definizioni dei sostantivi astratti non lo sono mai), anche se necessarie, ad afferrare le sfumature che il termine carnale acquista non tanto nella lingua quanto nella filosofia della canzone napoletana.

Il ricorso ai testi diventa allora quanto mai utile, per non dire indispensabile, e mi piace cominciare con un pezzo relativamente recente, MARE VERDE[2], che propongo nell’interpretazione di Sergio Bruni

http://www.youtube.com/watch?v=srhOXE9nmLY

e in quella di Milva

http://www.youtube.com/watch?v=0niNJvC4Dec

Nun è campagna, è mare, mare verde./
Nu golfo d’erba, na scugliera ‘e fronne,/
ca luntano se perde/
sott’ ‘o cielo d’está./
E pe’ stu mare verde senza fine,/
suonno d’ ‘a vita mia,/
cchiù carnale e gentile/
tu cammine cu me./
Ll’ombra te veste ma te spoglia ‘o sole:/
si’ d’oro comm’ ‘o ggrano./
Tremmanno ‘e passione/
t’astregno sti mmane/
e ‘o mare verde,/
ce ‘ncanta e ce perde,/
abbracciate accussí./
Dorme nu bosco e canta na surgente,/
sisca nu treno sott’a na muntagna./
Va sbarianno cu ‘o viento/
na palomma ccá e llá./

E pe’ stu mare verde senza fine…/

Dovendo far rientrare MARE VERDE in una categoria filosofica, direi che si tratta di una Canzone Appassionata – categoria pressoché sterminata, come si vedrà nel prosieguo della presente Rubrica – anche se nelle due strofe l’ambientazione ha una parte preminente, giocata com’è sulla similitudine tra il mare e la campagna. Tale affinità non si basa sul colore, che anzi costituisce la principale discriminante tra i due habitat, ma piuttosto sul’idea di (apparente) infinitudine che contraddistingue entrambi. Nel caso del mare l’associazione mentale con l’illimitato è spontanea, mentre per la campagna il pensiero corre addirittura all’INFINITO di Leopardi, che comunque a propria volta si conclude con un accostamento tra quello che c’è oltre la siepe e il mare:

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/
e questa siepe, che da tanta parte/
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude./
Ma sedendo e mirando, interminati/
spazi di là da quella, e sovrumani/
silenzi, e profondissima quiete/
io nel pensier mi fingo; ove per poco/
il cor non si spaura. E come il vento/
odo stormir tra queste piante, io quello/
infinito silenzio a questa voce/
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,/
e le morte stagioni, e la presente/
e viva, e il suon di lei. Così tra questa/
immensità s’annega il pensier mio:/
e il naufragar m’è dolce in questo mare.”/

Nell’Idillio leopardiano la centralità tematica del naufragio si rivela negli ultimi due versi; nella canzone il disvelamento avviene nel ritornello, con cui del resto il pezzo termina e in cui appare la nostra parola-chiave, carnale. Inutile anche qui sperare in una spiegazione esaustiva, ma è chiaro che alla carnalità della situazione contribuisce la stagione (“sott’ ‘o cielo d’está”), il rapporto romantico che intercorre tra i due protagonisti (“tremmanno ‘e passione t’astregno sti mmane”) e soprattutto il senso di apeiron che pervade il tutto[3], compresi gli amanti, il cui abbraccio assume l’intensità trascendente di una ierogamia, di unione sacra tra il cielo e la terra, tra l’immenso e il contingente, tra Eros e Thanatos. Ancora una volta, come sempre, come ovunque. E quindi in questo contesto carnale significa anche accettazione dell’incantesimo più potente e universale, quello in cui naufragio è ricongiungimento all’Estasi, principio di tutte le cose.

C’è un’altra straordinaria canzone che occorre esaminare attentamente per approfondire i significati della parola di cui ci si sta occupando ed è BAMMENELLA, dell’immenso Viviani. Avrei voluto parlarne oggi, ma credo di aver esaurito lo spazio. Perciò … (segue seconda parte).


[1] Scrittore, giornalista e romanziere svizzero naturalizzato italiano (1868 – 1929).

[2] Di Marotta – Mazzocco, del 1961.

[3] Da Wikipedia: “l’apeiron (l’etimologia più condivisa fa risalire il termine al greco a, «non», e péras, «limite», nella forma peiras del dialetto ionico di Mileto) rappresenta, secondo la filosofia di Anassimandro, l’arché, cioè l’origine e il principio costituente dell’universo. Essa è una materia infinita, indeterminata, eterna, indistruttibile e in continuo movimento”.

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