Una storia strana che non conosco. Incerta come i primi passi di un bambino. Una storia fatta di strade piene di fossi, di sole che albeggia illuminando timidamente gli amanti che nella notte fredda o tropicale hanno trovato una fedele compagna, confondendosi con le ombre e i silenzi interrotti da parole bisbigliate. Stretti sotto vecchie coperte, temono pure di muoversi, di rompere l’incantesimo; e allora si abbandonano l’uno nell’altra, sopraffatti da un timore che li trascende. Colonne sonore e poesie si sprecano, lontane anni luce dalla stanchezza dei corpi che si uniscono, dagli sguardi che escludono e nascondono. Dagli abbracci che parlano di tradimenti mai avvenuti, di tradimenti che sono tali solo nella fantasia cosmica delle loro anime. Il viaggio è cominciato come un vagabondaggio d’inverno, nel freddo tagliente che offende il cuore. Tra mille mitologiche metamorfosi, è proseguito toccando le isole terribili di vecchi amori, di supplizi divini. Di eroi e fanciulle rapite. Di guerre secolari, di sofferenze inaudite. Dopo tanto peregrinare, la nave è giunta in un porto tranquillo, laddove si può scivolare sul mare come se fosse olio, laddove le tempeste sono provocate solo dalla umana stupidità, dalla solita vanità. Gettata l’ancora, è cominciata la perlustrazione di questo luogo sconosciuto, selvaggio, disabitato, con sentieri tortuosi e animali bizzarri. Solo una casa sembra esserci e tutt’intorno cave di desolazione nelle quali perdersi, come Io che attende Zeus per placare la sua fame, per mettere fine alla sua inquietudine.