Mi sono imbattuta in un passo del libro “I sistemi motivazionali nel dialogo clinico” a cura di Giovanni Liotti e per un momento mi sono persa in una piacevole emozione, come di amorevole interconnessione col mondo intero. Il passo in questione si riferiva al pianto, come allarme volto a segnalare che la distanza da coloro ai quali si chiede cura e amore è eccessiva. A tal proposito diceva:
“La struttura sonora di questo segnale, centrata su toni acuti e ripetuti a brevi intervalli, rimane invariata in tutte le specie animali (dotate di un sistema motivazionale di attaccamento), dal pigolio del pulcino, per esempio, al guaito del cane e al pianto del piccolo umano.”
L’universalità di questo segnale -così come l’universalità delle espressioni facciali delle emozioni, studiate approfonditamente da Paul Ekman sulla scia di Charles Darwin (a tal proposito, ti consiglio l’articolo: “Leggere la mente: imparare a farlo è possibile“), che non può essere letta, per l’appunto, se non in chiave evoluzionistica- mi fa pensare ad una cosa:
Nessuno è solo
Sia le espressioni facciali, che le stesse emozioni, sia segnali sonori come il pianto o il riso si sono evoluti con noi affinché potessimo comunicare all’altro un’emozione e con essa un’intenzione e questo al di là della nostra volontà di farlo (vedi micro-espressioni di Paul Ekman). Nel caso di questo segnale sonoro, “centrato su toni acuti e ripetuti a brevi intervalli”, così come ci dice l’autore in maniera tanto tecnica, l’intenzione è proprio questa:
“Stammi vicino, ho bisogno di te”.