Mobilità e migrazione. Un appello antropologico è questo il titolo di un breve, ma incisivo testo di monsignor Antonio De Luca, vescovo della diocesi di Teggiano-Policastro (Salerno), redentorista con vasta esperienza in campo missionario, pubblicato dalla nota casa editrice Elledici di Torino. In questo suo ultimo contributo, analizza nel dettaglio la realtà degli spostamenti umani, grazie ad uno sguardo sintetico e panoramico offerto dai dati socio-statistici, ma ridesta contestualmente l’attenzione dell’opinione pubblica sul rispetto e la dignità di ogni persona, grazie ad azioni e parole finalizzate alla difesa e alla tutela dell’essere umano. Un intervento realmente significativo, perché l’autore porta ogni persona di buona volontà ad interrogarsi sulle ragioni profonde e sulle effettive motivazioni che costringono migliaia di persone, in particolare donne, bambini e uomini dell’Africa, a lasciare case, famiglie, terra nativa per un viaggio di pericoli, per un mare incertezze, per luoghi di incognite.
Questo sussidio è stato pubblicato nel pieno della crisi pandemica, che ancora viviamo, quando il lockdown da miraggio è diventato realtà drammatica per milioni di famiglie in tutto il mondo. Ancora più significativo, perché esprime un’attenzione profondamente “umana”, in quanto l’obiettivo dell’autore è quello di alimentare la riflessione sulla situazione odierna delle migrazioni in Italia con uno scopo altrettanto umano, ovvero descrivendo in modo essenziale le situazioni esistenziali e le motivazioni delle persone costrette ad emigrare anche nel tempo della strage pandemica.
De Luca scrive: «È necessaria una nuova cultura antropologica, un recupero del senso di umanità, della essenzialità della vita quotidiana. Tale recupero antropologico deve partire da una visione più ampia del noi, che non può essere contrapposto a loro. La famiglia umana, la fratellanza universale sembrano concetti obsoleti e perfino la solidarietà di fronte a grosse catastrofi o nel contrastare la diffusione di epidemie (come recentemente è capitato dall’Asia all’Europa con la diffusione del cosiddetto Coronavirus) appare un’utopia irrealizzabile, irraggiungibile».
Un altro passaggio molto incisivo sottolinea la necessità del superamento dell’indifferenza con un’azione pedagogica centrata sulla cultura della relazione e del dialogo. «Insomma prevale il clima del sospetto e della diffidenza – scrive ancora il vescovo di Teggiano-Policastro –, anche in una situazione di drammaticità estrema, mentre il senso di famiglia e di fratellanza richiama i valori genuini della cooperazione dell’aiuto responsabile. Occorre ridestare una cultura della relazione umana, imparando di nuovo a coltivare la gioia dell’incontro, del contatto, del dialogo interpersonale. In questo senso, vanno capovolti i paradigmi del sistema antropologico odierno per far spazio ad una rinnovata educazione all’umano con l’ausilio di tutte le istanze culturali, sociali, religiose, filosofiche».
Tale attenzione di Presule viene anche dalla sua specifica competenza di vescovo delegato migrantes della Conferenza Episcopale Campagna e si occupa quindi da vicino e in modo tangibile della problematica delle migrazioni, soprattutto sotto un profilo essenzialmente antropologico, che significa affrontare la questione dell’accoglienza con una chiave empatica e prossimale. È la specifica dimensione che fa riconoscere lo stile cristiano di fratellanza universale, come è stato ribadito recentemente dal Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (Abu Dhabi, 4 febbraio 2019), firmato in modo congiunto da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyed.
Questa dichiarazione è un punto di riferimento particolarmente importante nell’economia dell’intervento di monsignor De Luca, convito della validità di tale documento come monito alla comunità nazionale e internazionale, poiché mette al centro degli interessi interreligiosi il valore della persona umana principalmente con il riconoscimento della fratellanza universale, della libertà individuale come valore inalienabile, della giustizia basata sulla misericordia. Inoltre il testo sottolinea la necessità di difendere il dialogo, la comprensione, la diffusione della cultura per l’accettazione incondizionata dell’altro, fondamentale vicolo di convivenza pacifica, nonché la volontà di consolidare le vie della conoscenza tra le culture e le religioni, favorendo spazi di incontro sui valori comuni.
Il Documento di Abu Dhabi incoraggia la protezione dei luoghi di culto, garantita come impegno comune, ma anche con il rifiuto del terrorismo, incentivando forme modalità formative e preventive per evitare la diffusione del pregiudizio, alimentando invece la condivisione del concetto di cittadinanza basata sull’uguaglianza e sulla difesa delle minoranze; promuove altresì l’intensificazione dei rapporti tra Occidente e Oriente,come necessità vitale di conoscenza per una vivibilità strutturata da relazioni significative e da scambi culturali costruttivi a sostegno del consolidamento del bene comune e della difesa dei diritti umani. La Dichiarazione punta ancora sul riconoscimento dei diritti delle donne nelle diverse forme ed impegni sociali, culturali, lavorativi; sulla tutela dei diritti fondamentali dei bambini per la loro crescita in famiglia con l’assicurazione di una adeguata nutrizione, dell’istruzione e del pieno sviluppo socio-relazionale e, infine, sulla difesa dei diritti dei più deboli, anziani, disabili, poveri, oppressi grazie al sostegno allo promozione sociale e a politiche a sostegno di legislazioni che favoriscano la piena applicazione dei principi condivisi di riferimento.
La strada della fiducia nella solidarietà è quella proposta ed intrapresa con il contributo di monsignor De Luca. Lasciando intravedere la profonda crisi valoriale e umana dell’Occidente e in particolare dell’Italia, vissuta con toni perfino drammatici in questi ultimi decenni anche sul piano relazionale, il vescovo propone di considerare questa crisi come lo stato effettivo del cambiamento in corso. Infatti non stigmatizza la “crisi della stagione storica presente”, ma delinea i fattori caratteristici di questa “stagione della crisi”, come indica lo stesso papa Francesco. Nell’odierna inedita situazione deve essere collocata anche una nuova visione della persona umana in senso generale, sociale, antropologico, se effettivamente si corre il pericolo di una chiusura sempre più evidente delle comunità umane rispetto alle esigenze e alle difficoltà dei propri simili in stato di bisogno e in pericolo di vita.
L’accoglienza delle persone migranti e le politiche degli stati occidentali, o meglio della Comunità europea e della nostra Nazione in particolare, riguardanti l’emergenza sociale e umanitaria, vissuta drammaticamente in molte regioni geografiche e contesti umani della Terra, come in Africa, rappresentano un punto di riferimento abbastanza significativo. Molto spesso, registra il vescovo De Luca, questa cultura perde la propria anima umana e diventa contraddizione, se non anche aberrazione. Alla base delle conquiste dei popoli occidentali vi è la nascita, lo sviluppo e il consolidamento del concetto di persona e dei suoi diritti inalienabili. Questa prospettiva non resta un dominio esclusivo teorico della teologia e della filosofia, ma è realmente il senso antropologico che investe ciascun essere umano.
Dire persona significa ricollocare nella giusta dimensione la “questione antropologica” per cominciare ad intravedere una possibilità di uscita dalle tensioni relazionali, pur verificatesi in questi ultimi decenni con l’alternativa o noi o loro, oppure con le politiche secessioniste con slogan tipo “aiutiamoli a casa loro”. Demagogia pura, non affatto risposte alla problematica dell’immigrazione, né una ermeneutica coerente con quello che il vescovo De Luca intende come dinamica naturale degli spostamenti umani. Tuttavia segnala anche la pericolosità di identificare il migrante per bisogno con il turista per lavoro o piacere. Gli uni non si trovano nelle stesse condizioni degli altri poiché non esercitano in maniera uguale le possibilità insite nella libertà individuale. Ecco il nodo specifico sul quale questo sussidio invita a riflettere ciascuna persona e le comunità, affinché si avvii una corretta informazione e formazione sulla realtà e anche sulle criticità dei flussi migratori odierni.
Il pregiudizio è il veleno più pericoloso e l’ignoranza, anche sul piano dell’agire del cristiano, può diventare causa di ingiustizie e di devastanti processi di emarginazione sociale. Grazie a questa riflessione esperienziale di monsignor De Luca, i cristiani e i non cristiani posso prendere atto di un’altra voce per analizzare la situazione e decidere quale tipo di intervento sia possibile effettuare. Certo è che urge un nuovo modello di umanesimo, un umanesimo integrale, difeso dalla filosofia di Jacques Maritain, sostenuto da Paolo VI con l’idea dello sviluppo integrale, promosso da più fronti da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, e oggi indicato da Papa Begoglio come la possibilità reale per creare nuove condizioni di convivenza umana equilibrata e solidale.
Lo sviluppo umano integrale è il processo al quale Francesco guarda con tanta dedizione, puntando su una società come un convivio di differenza, dove il principio dell’uguaglianza si basa sull’arricchimento delle rispettive tipicità, senza temere il depauperamento, ma senza neanche scadere nel sincretismo. Nell’orizzonte appena evocato, anche questo sussidio, forte dei punti di riferimento culturali, sociologici e filosofico-teologici adottati, sottolinea la necessità di progettare una società all’insegna dei tanti colori dell’umanità, escludendo ogni forma di autoreferenzialità e di esclusività.
Nella prospettiva cristiana esiste la logica del Samaritano (cf. Lc 10, 25-27), “buono” per antonomasia. Questa è l’icona scelta e indicata nelle pagine che seguono per declinare la proposta cristiana dell’accoglienza dei migranti: senza pregiudizi, senza paure, senza barriere. Una logica “rovesciata” poco affine ai calcoli strumentali umani. Infatti, il Gesù del Vangelo secondo Luca presenta la parabola non come un “paradosso”, ma come una possibilità. Se di possibilità si tratta, significa che anche una persona completamente estranea ad un contesto umano, nonostante la sua distanza culturale o ideologica, può farsi prossimo, semplicemente rompendo gli schemi esistenziali preconfezionati e rilanciati ogni qual volta si tratta di restare al balcone per guardare indifferenti una realtà, semplicemente passeggera.
Nel sussidio Mobilità e migrazione. Un appello antropologico del vescovo Antonio De Luca l’altro non è mai una incognita, un pericolo, un impedimento, ma è sempre un volto!