Non avevo mai sentito parlare finora di Errico Ruotolo. Per non presentarmi del tutto a digiuno all’evento in suo onore, ero riuscito a raccogliere solo le poche note biografiche che si trovano in internet. La serata prende il via con la proiezione di un film-ritratto realizzato da Mario Franco, docente all’Accademia di belle arti di Napoli: film nel quale Errico Ruotolo racconta se stesso mentre scorrono le immagini dei suoi quadri. Alcune frasi mi colpiscono per chiarezza e spontaneità. «Ho recepito – dice – i modi della periferia che non rinnego». Ruotolo, infatti, è cresciuto a San Giovanni a Teduccio, in quella San Giovanni operaia dalla quale ha assorbito i conflitti sociali, la passione politica e quello che l’assessore Angela Cortese, presente all’evento, definisce come “il bisogno di esprimere un pensiero divergente”, il “fare in un altro modo”. Nel filmato, Ruotolo continua col descrivere la sua formazione, basata sugli studi fatti all’accademia di belle arti di Napoli ed arricchitta e modificata dai viaggi in Europa tra Parigi, Monaco di Baviera ed Amsterdam, nei quali resta incantato dalle opere di Picasso e di Cezanne. Passa in rapida rassegna le principali esperienze alle quali partecipò, come la Galleria Inesistente, l’A/Social Group, la Biennale di Venezia e la Gummensons Gallery di Stoccolma. «Eppure – racconta con rammarico – la stampa napoletana fu avara di notizie, spesso addirittura ostile». Ed è questa mancanza di documentazione, quest’assenza dei media, che l’hanno portato ad autodefinirsi un «artista senza storia». Ma Ruotolo non si è sentito «escluso da questo o da quello», semplicemente non è rientrato nei “programmi”. L’esposizione delle sue opere, quando c’è stata in forma ufficiale, non è stata mai eclatante. Ha preferito la “frequentazione spontanea” del suo studio a San Giovanni, la cui finestra rappresentava un colpo d’occhio sull’intero mondo e sui suoi conflitti sociali. Il professor Massimo Bignardi, grande amico di Ruotolo, ricorda le loro telefonate domenicali nelle quali l’argomento principale era quasi sempre la “responsabilità rispetto agli eventi”. Emblema di tale visione dell’essere artista è l’esperienza della mostra di Stoccolma, svolta mentre scoppiava la guerra del Golfo. Ruotolo volle lavorare tutta la notte per modificare la sua intera esposizione in favore del tema della guerra, destando la meraviglia degli organizzatori. Le sue opere hanno rappresentato, secondo il prof. Gabriele Frasca, poeta ed amico, un «diario privato sul mondo», nel quale mostrava la sofferenza della storia attraverso la propria, quella procurata dalla malattia che l’ha accompagnato nei suoi ultimi anni di vita. E così nascono opere sulla Shoah, sull’ Islam o ancora sul ritorno della guerra in Iraq. Errico Ruotolo mi ha colpito, in quest’ora e mezza di omaggio, attraverso il suo racconto e quello degli amici presenti. Un artista libero. Libero dai “programmi” della commercializzazione dell’arte, da quelle che lui definiva «incrostazioni di città o di altri». Un artista che rifiutava l’opera seriale in favore di una visione romantica dell’arte come qualcosa di unico e come mezzo di denuncia. Invito il lettore ad informarsi su Errico Ruotolo e a conoscere le sue opere, magari cominciando proprio da quella esposta al Liceo Artistico dove ha insegnato per anni e dov’è stato ricordato con tanto affetto ed ammirazione.