Ciò che unisce è molto più di ciò che divide. Alla Facoltà Teologica di Capodimonte, il 26 aprile 2018, il carcere si trasforma in un laboratorio di dialogo: si tiene la lezione dedicata a Il contributo degli operatori pastorali nell’ambito carcerario in prospettiva ecumenica, affidata ai docenti monsignor Gaetano Castello, preside della Facoltà e delegato arcivescovile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Napoli, e al professor Michele Giustiniano, giornalista e teologo specializzato in ecumenismo, nonché membro ed addetto stampa della commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. E’ la sesta parte del corso di formazione intitolato Perdono responsabile e giustizia riparativa: uno sguardo profetico, promosso dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione san Tommaso d’Aquino, insieme all’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri italiane, l’Ufficio di Pastorale Carceraria dell’Arcidiocesi di Napoli, con il patrocinio del Garante delle persone sottoposte a misure ristrettive della libertà personale Regione Campania.
Detenuti stranieri e religioni in carcere – Tra le varie facce del carcere esiste quella religiosa. In che misura ai detenuti è garantita la libertà di religione? Ormai da decenni, all’interno delle prigioni italiane risuonano preghiere recitate in lingue diverse e indirizzate a divinità distinte. L’art. 26 della legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario riconosce ai detenuti e agli internati la libertà di professare la propria fede, di istruirsi nella propria religione, di praticarne il culto. In genere, al momento dell’ingresso in istituto, durante le procedure di registrazione dell’ufficio matricola, ai nuovi detenuti viene posta la domanda sul credo di appartenenza: i detenuti cattolici sono i più numerosi, rappresentando il 54,7% del totale; seguono i detenuti musulmani, poi gli ortodossi. Ci sono poi adepti di altre confessioni quali evangelici, avventisti del settimo giorno, hindu e altri ancora, ma in percentuali minori.
Gli interventi dei relatori
Gaetano Castello: «L’impegno ecumenico ad una pastorale è trasversale. Il movimento ecumenico lancia una prospettiva trasversale nella Chiesa… come un argomento che attraversa ogni argomento della Chiesa. L’ecumenismo non né un settore a se stante, ma una dimensione della Chiesa del nostro tempo. Il cammino ecumenico è un cammino irrinunciabile. Gesù ci ha insegnato la fraternità, e l’ecumenismo è una base solida , poichè rappresenta un dialogo che tende all’unità, un tempo di fraternità da recuperare, un linguaggio cristiano, una condizione di condivisione. Ecumenismo, come una visione comune sul senso della storia, per una collaborazione tra le fedi, in senso di concretezza. La questione del dialogo ecumenico nelle carceri è una questione grossa, il carcere visto anche come luogo di preghiera, tra diverse religioni, con reciproco rispetto. Il volontario pastorale ha il dovere di preoccuparsi che nelle carceri ci sia il rispetto delle persone di altra fede. La detenzione deve essere vista come un periodo di umanizzazione e di crescita. Il contributo del volontario sta nel portare nel carcere un messaggio di dialogo: il protestante, mio fratello, ed insieme a lui, fare un cammino proiettato all’unità».
Michele Giustiniano: <<Esiste una interessante interazione concettuale tra l’opera ecumenica e l’opera carceraria: il movimento ecumenico si fonda sulla speranza di unità; l’opera carceraria si fonda sulla speranza di “riparazione”, di reinserimento sociale, di recupero. Come l’impegno ecumenico vuole sanare le ferite della divisione tra i fratelli delle diverse confessioni cristiane, così l’opera carceraria vuole sanare le fratture e ricucire gli strappi che si sono venuti a creare tra il detenuto e la società. [...] In entrambi i casi, il fondamento è la speranza. [...] Tra “mondo ecumenico” e “mondo carcerario” possono pertanto avvenire scambi fecondi: l’ecumenismo può offrire al carcere proposte, progetti, metodi e direttive per praticare il dialogo e coltivare la speranza, ma soprattutto un inserimento ecclesiale che può tanto agevolare il reinserimento sociale; il carcere può offrire all’ecumenismo un popolo bisognoso di speranza vera, una comunità che deve rinascere sanando le fratture».