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Per una parete grande ci vuole Antonio Mercurio

Antonio Mercurio nasce il 1.08.1932, figlio di un napoletano che conobbe sua madre a Resina. Ci incontriamo sulla Via Winckelmann ad Ercolano, presso un circolo dove in tanti si ritrovano per parlare, giocare a carte, ridere e confrontarsi sul mondo. Franco, il padre, si occupava di decorazioni di soffitti e scenografie per i teatri, assieme ai suoi fratelli. Tuttora i suoi cugini hanno ereditato la stessa passione, lavorando stabilmente per la Scala di Milano e il San Carlo di Napoli. Antonio riceve il testimone dal papà, un pennello per guadagnarsi la pagnotta, per combattere la fame del dopoguerra senza andare a rubare.La sua missione era mettere a nuovo case antiche e nuove col colore.Il nonno faceva tutt’altra cosa, pur essendo anch’egli del ramo artigiano, realizzava le luminarie in occasione delle feste di paese, le cosidette feste‘e lampetelle, ad olio o gas. Antonio inizia a seguire suo padre a 12 anni appena, lavorando ad altezza elevata da terra, sottoposto alle intemperie e ai pericoli del mestiere. Concluse la seconda elementare, poi arrivò la tremenda guerra e non continuò più la scuola. Non c’era altra scelta che quella di lavorare. Sorride, allargando le braccia e coinvolgendo nel suo racconto Salvatore Grimaldi, presidente di questo circolo culturale ricco di una variegata umanità. La sua prima pennellata è per le cliniche di Sant’Aniello, vecchi palazzi che sorgono alle spalle del Corso Umberto di Napoli. Una vita, la sua, trascorsa tra ponteggi, su e giù tra le impalcature, restituendo splendore alle pareti di centinaia di fabbricati, palazzi e residenze storiche. Dal padre ha appreso tutti i trucchi del mestiere e la manualità rigorosa per interni ed esterni ed è lui, negli anni ’30, ad occuparsi della facciata di Villa Pignatelli a Napoli. Lo stesso Antonio può vantare di aver partecipato al ripristino della facciata di Villa Favorita ad Ercolano, opera di Ferdinando Fuga, nel lontano 1948, denominata “Favorita”dal Re Ferdinando IV di Borbone in omaggio alla regina Maria Carolina d’Austria. Nell’immediato dopoguerra, la ricostruzione era l’obiettivo principale, ragion per cui le principali commesse provenivano dal genio civile. Centinaia i palazzi riverniciati soprattutto a Napoli, nel quartiere Vasto, in Piazza Ottocalli, a Posillipo,a Fuorigrotta nella Loggetta. Il colore delle case del risanamento nei pressi dello Stadio e delle case popolari presso i Colli Aminei portano la sua firma. Coglie l’occasione per raccontare un episodio che poteva finire in tragedia. Nel 1952 era sui pontili per lavorare alla facciata dell’acquario ottocentesco aperto dal naturalista tedesco Anton Dohrn. Antonio era un ventiduenne quando si ritrovò d’improvviso nel vuoto, dopo la caduta di due basoli che sostenevano un sistema di pesi e contrappesi. Riuscì miracolosamente ad aggrapparsi ad un palo delle impalcature:<<Allora, come oggi, si volava all’improvviso, questione di attimi>>. Fortunatamente ha lavorato a lungo e con la mente ritorna nei luoghi, nei quartieri e nelle cittadine in cui ha lasciato una traccia negli ultimi decenni: Barra, Capri, il Pennino ad Agnano, Vico Equense e Sorrento.  Un tempo per la vernice utilizzava il sapone a piazza di colore marrone, usato per il bucato. Il primo segreto svelato riguarda l’adesione del colore alle pareti, grazie alla colla, derivata dai ritagli di pelle raccolti tra i residui della lavorazione delle fabbriche conciarie che venivano bolliti nell’acqua. Ottenuta la colla, questa veniva mescolata col bianchetto, il risultato di pietre macinate. Infine si aggiungeva il colore, dando vita ad una vernice che non sporcava le mani:<<Sono segreti di antico tempo>>.All’epoca gli imbianchini facevano la calce a pietra e a Castellammare di Stabia c’era un forno a legna apposito, nel quale le pietre venivano cotte. In seguito venivano messe nell’acqua e iniziavano a bollire fino a divenire cocenti. Nei grandi barili di ferro, di quelli usati per contenere benzina, avveniva la miscelazione. La calce ottenuta dal procedimento necessitava di un giorno per raffreddarsi, prima di essere adoperata.Antonio ha dedicato una vita intera nel preparare e mescolare vernici, dipingere le pareti in più mani utilizzando pennelli e rulli immerso sempre tra i colori. Immaginiamo insieme il rifacimento di un soffitto:<< Bisogna valutare le condizioni dell’intonaco, quindi dare la prima passata, semplice e molla, se però è vecchia sono necessarie tre mani di colore>>. La seconda passata è rivelatrice di sorprendenti ingredienti: olio d’oliva e sale. Con un misurino lo si versa in proporzione a seconda dell’acqua. Servono a far sparire le tracce lasciate dal pennello, dando uniformità e compattezza di colore alla parete. Lavorava anche alle zoccolature delle stanze, oggi in mattonella o in marmo, mentre un tempo erano semplicemente formate da un colore diverso ai piedi della parete, generalmente scuro:<<Affinchè nel lavare i pavimenti non si notassero macchie>>. A 77 anni il grintoso e sornione Antonio lavora ancora, sposato ma senza figli e appassionato del ballo, dice di aver goduto con piacevolezza del tempo libero, di aver fatto tanti sacrifici ma di essersi regalato giusti momenti di spensieratezza. Indica uno ad uno i palazzi della via Winckelmann costruiti tra gli anni’50 e ’60:<<Quelle pareti sono ancora intatte nonostante siano trascorsi più di 40 anni>>.E’ critico verso certi frettolosi metodi moderni caratterizzati dall’uso di metodi che non consentono alle vernici di respirare. Così accade che i mattoni, spesso in tufo, non assorbano la pioggia e creando condensa interna, provochino il repentino disfacimento delle pareti di edifici ristrutturati di recente:<<Quei balconi sono in latte di calce, li ho fatti  io e sono ancora intatti!>>.Rammenta una piccola Chiesa di Torre del Greco rifinita con cura certosina e il Bed & Breakfast del Corso Resina di color rosso pompeiano. Ce ne andiamo sotto braccio fin sotto casa:<<Quanto ho faticato non sai, ci sarebbe ancora da dire ma sono contento>>.

 

 

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