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Perdono responsabile e giustizia riparativa, forum conclusivo su Nisida e “dintorni”

2018-05-21-12-45-36

«Ancora quantu tiempo adda passare…io da ccà dinto me ne voglio ascire, ma tengo la paciénza di aspettare…carcere ‘e mare». Il 17 maggio: Il carcere “luogo di salvezza”? Prospettive pastorali per un inserimento ecclesiale e sociale degli ex detenuti.Ultima lezione alla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, sezione san Tommaso, prima del forum conclusivo, del corso di formazione Perdono responsabile e giustizia riparativa: uno sguardo profetico, con il cappellano del Carcere di Nisida, don Fabio de Luca, e il dottor Gianluca Guida, direttore dello stesso istituto.

L’istituto minorile – Quello di Nisida è il carcere minorile di Napoli e sorge su una piccola isoletta sita a Coroglio. Circondato da una cinta muraria. È quello che cerca di rispettare al meglio i detenuti avendo così rispetto della persona e dell’essere umano. Il riformatorio è diviso in più sezioni: una parte è adibita a uffici per il personale penitenziario che lavora al suo interno, un altro lato è occupato dalle celle dei detenuti divisi per sesso e infine c’è una grande biblioteca e un teatro voluto da Eduardo De Filippo.I minori e le minori hanno un’età compresa tra gli 11 e i 18 anni: ognuno di loro ha commesso qualche reato più o meno grave per essere relegato a Nisida ed è pronto a dover scontare la propria pena. In realtà il vero compito del carcere minorile è quello di rieducare i giovani ragazzi che in contesti sbagliati e in circostanze inusuali hanno intrapreso la cosiddetta “cattiva strada”ragazzi stranieri di confessioni religiose diverse da quella cattolica, si è attrezzato a tal punto da poter permettere a tutti di osservare il proprio culto e la propria religione.

Cosa succede a Nisida – All’interno della struttura carceraria di Napoli dedita ai minori esistono palestre, laboratori e progetti di avviamento al lavoro: il vero intento sta nell’avviare i giovani ragazzi a poter intraprendere una vita sana e ricca di onestà e lealtà. Ecco perché l’obiettivo primario risulta quello di voler ridurre l’aggressività verbale e fisica, e aprire i ragazzi al confronto, al contatto e alla sincerità, alla non violenza e al rispetto per il prossimo. «Voi non avete capito niente, io l’unica cosa che potrò fare quando esco da qua è portare i caffè in uno studio d’avvocato dove ci sono tanti ragazzi come me ma in giacca e cravatta e con i soldi. Ma io non voglio portargli i caffè, voglio essere come loro, farmi le vacanze a Capri, comprarmi la macchina, essere rispettato. E l’unica strada che ho è la violenza, non ho altro”. Lo scatto sociale che intravedono possibile solo a questo modo. Ma questi ragazzi in tre quattro anni a Nisida cambiano, imparano l’artigianato e tante altre cose. Ma quando escono che possono fare? Al massimo il pizzaiolo a nero per 600 euro al mese, se va bene. Il punto è che mancano i percorsi di recupero fuori dall’istituto, una volta terminata la pena non hanno quasi chance e ritornando nel loro ambiente, dopo la galera, vengono premiati, promossi. i ragazzi non percepiscono di avere un ventaglio di scelte possibili davanti a loro, perché effettivamente hanno poca scelta, quasi nulla. Il recupero può esistere solo con una straordinaria inversione di tendenza, con un investimento in educazione, scuola e lavoro. E non solo di economia, ma di un investimento in responsabilità; un luogo senza salvezza, in balìa di bande criminali.

Dio non manderà nessuno a salvarci (Es 17), il racconto del caso di Emanuele Sibillo – Fuggiva dalla legge ma alla fine si è fatto trovare dai suoi assassini. La morte è una variabile che devi mettere nel conto anche se sei ancora giovanissimo e soprattutto se accetti le sporche regole della camorra: e questo lo sapeva bene Emanuele Sibillo, rampollo di una delle famiglie che stanno scatenando violenza, lutti e tragedie in quel ventre di Napoli che hanno trasformato il centro storico in una vera e propria zona di guerra. Sfuggito all’arresto all’alba del 9 giugno scorso, Sibillo non è riuscito a schivare l’ultimo agguato tesogli da chi evidentemente non lo voleva più in circolazione a Forcella e dintorni. La fine della sua corsa criminale è arrivata l’altra notte, il 2 luglio 2015, in quella via Oronzio Costa diventata ormai la strada più pericolosa e insanguinata di tutta la città: negli ultimi quattro giorni si sono succeduti tre raid armati, uno dei quali ha lasciato sul terreno altri tre giovanissimi feriti da colpi di arma da fuoco.

«Dio che m’e dato ‘a voce pe’ cantare…e che m’e dato l’uocchie pe’ guardare…m’e dato ‘e braccia pe’ farme faticare…carcere ‘e mare».