Una città in cui tutto è stretto nella morsa di una qualche contesa, in cui tutto è politica, una politica pervasiva e feroce, che non riesce ad emanciparsi dall’affermazione di un dominio e dal linkage potere-religione, conseguenze degli oltre trenta assedi subìti da parte di gruppi che, nel corso della storia, l’hanno rivendicata come propria.
Gerusalemme è, oggi più che mai, “imbevuta di protervia”: il diritto alla “propria” casa come disconoscimento tout court di quello altrui; l’apartheid strisciante che ispira l’amministrazione del territorio nel segno di una brutale de-arabizzazione, non concedendo alcuna chance di sviluppo urbanistico ai quartieri palestinesi ed isolando la città dal resto della Palestina. E poi il crescere della criminalità organizzata in una East Jerusalem assimilabile a terzo mondo, al cospetto di un Ovest pienamente “occidentale”; gli incentivi derivanti dall’adozione di curricula scolastici improntati sulla negazione dell’identità palestinese.
Ma Gerusalemme è anche una città “stanca”: stanca dei turisti di tutto quello che “viene da fuori”, stanca di dover sostenere il ruolo di capitale di due Stati, che, in realtà, troverebbero agevolmente, in città più giovani e vivaci come Tel Aviv e Ramallah, i rispettivi cuori pulsanti.
“Su Gerusalemme” ha poco a che fare con la solita retorica da mediorientalisti; gli interventi di politologi, storici, drammaturghi e architetti ne fanno un libro di spessore non solo politico-sociale ma anche propriamente tecnico; nondimeno da leggere, sia per chi intenda perdersi per la città e sia per chi l’abbia già fatto.