Negli ultimi anni il dibattito sulla pietà/religiosità popolare è cresciuto sempre di più, tanto da convincere la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti a preparare e poi pubblicare il Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002). Si sono susseguiti in questi ultimi decenni diversi tentativi sul piano della tematizzazione teologico-pastorale della questione che ha visto coinvolti antropologi, sociologi, filosofi di ispirazione cristiana, ma soprattutto teologi impegnati a definire la religiosità popolare “risorsa” e non “problema”.
La distinzione tra pietà popolare e religiosità popolare contenuta anche nel Direttorio chiede un approfondimento per comprendere sul piano storico lo sviluppo di questi concetti soprattutto sul piano teologico pastorale, ma anche dogmatico, dal momento che molte testimonianze dell’arte e dall’architettura ispirate dai principi cristiani hanno espresso il sensus communis prima delle definizioni ufficiali.
Il noto studioso Ernesto de Martino in Sud e magia, con esplicito riferimento alle tradizioni della pietà popolare, si propone di indagare, dopo un’esplorazione etnografica, in alcune aree «più arretrate» dell’Italia meridionale, le sopravvivenze «delle più rozze pratiche di magia cerimoniale» per concentrare l’attenzione «sui rapporti fra queste sopravvivenze e la forma egemonica di vita religiosa, cioè il cattolicesimo nelle sue accentuazioni magiche meridionali: vengono così indicati i numerosi raccordi, passaggi, sincretismi e compromessi che legano la bassa magia extracanonica con i modi di devozione popolare e con le stesse forme ufficiali della liturgia». Ci sono in merito pareri e posizioni differenti.
Intanto, molte esperienze di fede, le stesse vocazioni presbiterali, conversioni sono state spesso originate e alimentate dalla religiosità popolare, dove è possibile sperimentare concretamente una sorta di affettività diretta nei confronti del “sacro” generalmente inteso e in particolare con il cristianesimo. Si ricorderà che gran parte della polemica con i riformati si base anche su questi elementi ritenuti criticità persistenti e ricorrenti, quasi un blocco alla crescita nella fede genuina e diretta con l’unico Salvatore e Redentore.
L’osservazione socio-pastorale porta ad una considerazione molto seria concernente la necessità di una radicale riforma degli atti di devozione, soprattutto delle processioni, dal momento che il “rituale” va privatizzandosi in una forma molto intimistica, lasciandosi a forme blande e rasentando perfino lo scandalo. La forma delle processioni in onore dei diversi santi rispetto alle usanze locali, assunte nel tempo, evidentemente non ha più considerato le norme della comunità cristiana, ma ha preferito azioni che fomentassero espressioni a caso della fede.
Ecco la motivazione che costringe diversi vescovi ad iniziare un tentativo di purificazione e di riordino delle processioni e delle altre pratiche di pietà, talvolta osteggiate dal popolo, da gruppi, o da singoli. Diversi provvedimenti hanno così dato vita ad un piano di purificazione, attuato talvolta con provvedimenti drastici, altre volte con gradualità, quasi concordato le modifiche, una volta riconosciute le criticità. La prassi è il luogo teologico per eccellenza da dove parte e dove si realizza l’azione pastorale. La prassi è il luogo in cui le idee della teologia sono in movimento…!
Dal Concilio Vaticano II non a caso si è confermata sempre di più la linea della purificazione delle tradizioni popolari, soprattutto con la riscoperta della liturgia per la vita e la spiritualità personale e comunitaria dei cristiani. Precisamente in questa dimensione si colloca il Direttorio citato che rinvia ai vescovi la responsabilità di stabilire regole, aiutare ad esprimere i valori contenuti nelle tradizioni, oppure a frenare eventuali abusi.