“STELLA” di SYLVIE VERHEYDE; FRA,08.
Anni 70, Parigi: Stella ha 11 anni, figlia di albergatori di periferia, entra in una scuola media “per ricchi”. La vede come un’opportunità per la vita, nonostante le difficoltà ambientali e familiari. Presentato ai “Venice Days” di quest’anno, mette in luce aspetti autobiografici della regista, autrice del soggetto e dello script. E’ lei la bambina che si aggira per il mondo, assetata di intelligenza, senza saperlo. Vive come imbozzolata in un ambiente un po’ sul degradato, non privo comunque di riferimenti affettivi; ed è costretta, per sopravvivere, a mostrare una scorza di durezza che col tempo avrebbe potuto invadere la sua anima, rendendola impermeabile ai sentimenti. La sua scelta di frequentare una scuola fuori del quartiere sembra fuori contesto: ma, dopo un trimestre fiacco, in cui semplicemente non esiste, come una scintilla che scatta, prende gusto, grazie ad un’insegnate dotata di comunicativa, alla Storia, e di lì prende consapevolezza di sé. L’aiuta un’amica di origine ricca ed ebrea, anch’essa, un po’ “fuori”. E l’inizia al “vizio” della lettura. C’è quella sequenza, bellissima, dell’acquisto del suo primo libro: il suo fare è furtivo, come se rubasse, pur pagando; o, peggio, s’infiltrasse in territori da cui si sentiva come intrusa, indesiderata: in cui non “meritasse” di entrare. Mentre invece ella scopre di trovarsi a suo agio: Balzac, M.Duras, sono come degli amici presenti. E che non le fanno recidere le sue radici: i rapporti coi suoi genitori, vivi, ma sentimentalmente confusi, e con la sua amichetta mezzo coatta nel paesino dei suoi al nord, vengono semplicemente raccordati ad una maggiore e più consapevole umanità in cui Stella esiste, “c’è” e sceglie. Mi ha colpito questo livello di umanizzazione non moralistica raggiunto con chiarezza e nei termini di una sensibilità preadolescenziale. E’ molto difficile far convivere in una narrazione autobiografica il senso affettuoso della memoria e quello della formazione. Sono spesso elementi che si elidono a vicenda, perché non si supportano vicendevolmente: l’indulgenza per sé e i personaggi del proprio passato, potrebbe come offuscare la nitidezza delle motivazioni un po’ meno evidenti, magari anche cattive su di sé e gli altri. Bisogna dire, invece, che la regista ha fatto profondamente propria la lezione del Truffaut dei “400colpi”: l’ha addirittura superato, perché evita lo slancio lirico dell’indimenticabile finale di quel film; ne crea un altro pieno d’affetto per l’amichetta coatta, che ricorda a noi e a se stessa le sue origini che lei non rinnega, ma rivivifica. Se c’è un film per quell’età è proprio questo, ricco di poeticità, di realismo, e d’intelligenza.
PS.
Poste queste premesse critiche, condivise da tutti gli osservatori, non capisco le motivazioni per cui la Commissione di Censura del Ministero ha posto il divieto ai minori 14anni: il che impedirà la circolazione del film nelle scuole. C’è la sequenza di un tentativo di violenza pedofila, cui peraltro si sottrae con decisione. Essa non è violenta e serve a descrivere le enormi difficoltà della stessa sopravvivenza ambientale di Stella: quindi ha una sua funzione narrativa. Allora perché hanno messo il divieto?