Teoria del partigiano di Carl Schmitt
Adelphi Editore
prezzo di copertina 13 euro
Nonostante i precedenti più o meno illustri, quella di Carl Schmitt è la prima vera e unica teoria del partigiano all’altezza del problema. Il giurista e filosofo tedesco cerca di chiarire l’evoluzione del partigiano, dalla figura del guerrigliero che combatteva agli inizi dell’800 in Spagna contro Napoleone al rivoluzionario di professione di Lenin, alla nazione in armi di Mao, fino al duplice terrorismo nell’Algeria francese. Si tratta di una penetrante ricostruzione che fa piazza pulita dei luoghi comuni e indica quali siano i tratti distintivi che si presentano come il frutto di una fenomenologia del partigiano: il carattere di combattente irregolare, l’estrema mobilità, l’impegno politico, il carattere tellurico, in quanto il partigiano combatte in difesa della propria terra.
Ma, per una più precisa collocazione di questa peculiare figura di combattente, è indipensabile inquadrarla in una adeguata comprensione del Politico, comprensione che in Schmitt si basa due concetti: Amico e Nemico.
"Indicando il grado di prossimità o ostilità -in rapporto non al semplice avversario o rivale, nè al nemico personale, bensì al nemico pubblico – essi definiscono l’essenza del Politico". Queste parole prese a prestito dalla postfazione di Franco Volpi ci consentono di comprendere più adeguata dell’estrema importanza che Schmitt attribuisce al fenomeno la cui attuale pervasività planetaria è così sconvolgente da porre inquietanti e al tempo stesso più che salutari interrogativi.