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Ti amerò sempre

TI AMERO’ SEMPRE di PHILIPPE CLAUDEL FRA-GER, 08.

Juliette esce di prigione dopo 15 anni, accolta dalla sorella Léa. Il reinserimento nella vita di affetti e relazioni è difficile. Il regista è uno scrittore che ha messo in film un suo libro ed è alla sua prima regia. Anzi ha progettato il testo espressamente per il cinema. Ma, caso raro, ha fatto al suo esordio un gran bel film, che non ha alcuno dei limiti che solitamente si associano a film che nascono da romanzi o sono diretti da romanzieri. La parola è del tutto visualizzata. Magari vi sono delle ingenuità, dei ricorsi a metafore un po’ troppo esplicite, ma la struttura narrativa è ferrea. Va avanti senza perdere un colpo, senza divagazioni gratuite. E’ del tutto concentrata sulla persona della protagonista, la versatilissima e qui in evidente stato di grazia, Kristyn Scott Thomas. Non solo sul suo viso, splendidamente espressivo, ma sulla sua corporeità che risulta ancora più rappresa,  più attorta sul suo dolore. Noi lo scopriamo brano dopo brano. Comprendiamo la sua essenza solo sul finale. E ciò perché lei si è voluta punire di un crimine, che avrebbe potuto avere molte attenuanti; in ogni caso avrebbe potuto giovarsi della solidarietà, anche in posizioni conflittuali, di molte madri poste nelle stesse drammatiche condizioni, costrette ad una scelta d’amore estrema e dolorosa.  Ma lei ha tenuto questo lutto dentro di sé, come un oscuro lago di profondità abissali, in cui ha continuato a lasciarsi andare, annullandosi, non volendo mai raggiungere la riva. “La vera prigione è la morte di tuo figlio”, dice ad un certo punto: lei si è murata viva in questa dimensione, che l’ha trascinata a corpo morto, via da tutti gli affetti, genitori, ex marito, che l’hanno bandita come una reietta. Il suo non-dialogo, la sua apparente aggressività nasconde questo mare profondo. Non a caso più d’una sequenza, in cui sviluppa gli incerti inizi di socialità con la sorella, si svolge in una piscina luminosa: ma è acqua calda, poco profonda, che si muovono con rilassata mollezza, in circolo. Ricorda il liquido amniotico, un desiderio metaforico d’immersione comune affettiva venuta meno. Il rapporto tra sorelle è costruito con altrettanta delicatezza: la giovane ha vissuto dall’esterno, senza riuscire a cogliere l’essenza del dramma della sorella; ma ha introiettato questa assenza come nevrosi, rifiutando la maternità. Il percorso di avvicinamento a Juliette segue delle motivazioni sue proprie, non è generica solidarietà sorerna. In questo si nota il talento di grande scrittore del regista-sceneggiatore: quello di dare delle motivazioni profonde al “fare” dei suoi personaggi. Aderente, sobria è la descrizione dell’ambiente fisico e sociale della provincia.

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