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Ultimatum alla Terra

ULTIMATUM ALLA TERRA di SCOTT DERRICKSON; USA, 08.

Le civiltà aliene ci osservano e controllano. La Terra è stata condannata: se Klaatu, loro ambasciatore,  non sarà ascoltato, la sentenza sarà eseguita. Remake dell’omonimo, mitico film del 51 del grande ma misconosciuto Robert Wise, se ne differenzia in molti aspetti: compresa l’assenza della frase-cult “Klaatu barada nikto”, con cui l’alieno blocca il super robot Gort . Soprattutto il messaggio è diverso. Mentre il film del 51 aveva un’impronta coraggiosamente pacifista, in quanto, in una fase d’isteria collettiva della Guerra Fredda tra il blocco occidentale e quello sovietico, apriva alla speranza di una pace possibile (speranza peraltro non presente nel racconto originale da cui fu tratto), qui prevale nettamente l’intento ecologico. E’ la nostra incuria criminale che sta assassinando il Pianeta. E sono molto più articolate le ragioni del rifiuto delle massime autorità Usa ad ascoltare Klaatu: la rappresentante fa un paragone storicamente fondato, allorché mette in evidenza che quando una Civiltà superiore entra in contatto con una inferiore, questa è spacciata: fa esempi del colonialismo dal 500 all’800, solo che questa volta i “colonizzandi” siamo noi. Da qui la sua ferrea opposizione; e, anche se lei vorrebbe trattare, il Presidente, ben in salvo da qualche parte, le ordina di attaccare. Questo personaggio ha un’ampiezza e porta una dialettica narrativa, affidata alla pluripremiata K.Bates, che l’originale non aveva. E anche la figura dell’alieno è differente: alla ieraticità, vagamente mistica di Michael Rennie, è sostituita la fisicità asciutta e nervosa di Keanu Reeves. Egli è volutamente impassibile, perché deve comminare una catastrofica condanna per miliardi di persone; ma non è insensibile alla singola vita umana. Da qui nasce la dialettica che lo riguarda. Egli si rende conto che è proprio questa la “differenza”: i comportamenti collettivi, decisi dai governanti, non rispecchiano quelle caratteristiche profonde degli individui che noi definiamo, complessivamente, umanità; anzi ne sono la negazione. E proprio nei momenti di crisi esse vengono prepotentemente alla luce. Quindi, lo sviluppo del film, pur se accompagnato dai soliti, ma non disprezzabili, mirabolanti effetti digitali, riafferma una sua cifra intimistica, dando spazio, ad esempio, ai conflitti familiari tra madre e figlio, e alle loro motivazioni. Il robot Gort ha una potenza figurativa che supera il modello. Non solo è più credibilmente, solidamente minaccioso, ma subisce delle metamorfosi stupefacenti: è vero che vi sono “citati” diversi film, da “Terminator II” a “La Mummia”; ma la coerenza visuale lo rende impressionante. 

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