Corso Resina, Ercolano. Poco distante dalla Reggia di Portici, sorge un antico palazzo immortalato nel film di Vittorio De Sica Ieri, oggi e domani. Entro nella bottega che da sul marciapiede e ne chiedo conferma. Risponde con un secco si il falegname, rammentando di aver realizzato nel ’63, su richiesta della troupe, le sponte di un carrettino per trasportare i pesci. E’ una bottega antica quella in cui mi immergo. Il pavimento mostra ancora gli antichi basolati in pietra lavica incastonati. Odore di segatura e vecchi mobili si mescolano in un’atmosfera variopinta, fatta di attrezzi alle pareti, una sedia a dondolo sul soppalco, qualche stucco ancora visibile sulle pareti corrose dal tempo. Carmine Incoronato ha 72 anni ed è nato in via Roma, a pochi passi dalla sua bottega, strada storica che ospita l’elegante Villa Signorini. Nel lontano 1956 affittò il locale da una ricca signora, di origini calabresi. Aveva poco più di 16 anni e pagava seimila lire al mese. Più tardi pagando 12.000 lire riuscì ad acquisire il secondo locale. Ha un buon ricordo di Martina, la proprietaria che non aumentò mai il canone, fatta eccezione nel 1966, per aiutare gli sfollati dell’alluvione di Firenze:<<4000 lire che però son rimaste per sempre!>>. Anticamente il palazzo costituiva un prolungamento della Reggia di Portici, accogliendo forse gli alloggi per la servitù e al piano inferiore, dove Carmine esercita la sua attività, le stalle per i cavalli. Nel 1980 comprò i locali, chiedendo un prestito all’Artigiancasse:<<perché gli artigiani da soli non hanno le forze per far nulla>>. Era un bimbo quando scoppiò la guerra. La madre lo iscrisse alla vicina scuola di suore ma lasciò ben presto. C’erano i bombardamenti, i tedeschi, ricorda il rumore degli aerei che sganciavano le bombe e lui, ragazzino, correva scalzo per strada. Finita la guerra fu aperta la scuola comunale e potè seguire le lezioni al mattino, mentre al pomeriggio andava dal masto:<<perché ognuno doveva imparare un mestiere>>. A volte il masto chiamava i ragazzi anche al mattino, per trasportare i mobili. All’epoca la vita era difficile, si faticava duramente per vivere. Carmine partiva assieme agli amici con la carrettella per dirigersi a piedi fino a Napoli, da Giuseppe Feltrinelli, grande grossista di legna che aveva la sua impresa a San Giovanni a Teduccio. Infilano le ruote sui binari del tram ma appena passava con la sua inconfondibile sirena simile al verso del colombo, si dileguavano al lato della carreggiata. Un paio di ore di viaggio e al ritorno in bottega, il legno veniva lavorato e segato per i suoi molteplici usi. A 10 anni lavorava a casa della madre, amando fare per conto suo dei piccoli lavoretti su richiesta. La madre e le sorelle lo redarguirono perché sporcava la stanza e bisognava ripulire ogni volta. Fu cosi che a 16 anni riuscì ad affittarsi il locale creando un suo laboratorio. <<Una volta - spiega - le madri indirizzavano i propri figli dai maestri di bottega, imparando una professione finita la scuola o durante la stagione estiva, come un apprendistato>>. Oggi l’artigianato sembra morire inesorabilmente. Comincia a lavorare rubando idee e spunti per maneggiare i ferri. Sviluppa così le prime capacità manuali e realizza un armadio per una signora. Pian piano costruisce comò, sofà, le richieste si moltiplicano, passando alle camere da pranzo, le cucine fino alle camere da letto complete con guardaroba e cassapanche. Le sedie invece erano difficili da realizzare, in quanto l’esperto in materia era il seggiaro. Alberta, la figlia, lo supporta nel suo mestiere. Rammenta di come un tempo questo tratto di confine tra i due popolosi paesi fosse ricco di artigiani. All’antico chiosco dell’acqua ubicato un tempo accanto al palazzo, v’era lo smistamento degli scalpellini. Carmine conservava nel retrobottega i loro ferri che ogni mattino consegnava aprendo la saracinesca. Il suo laboratorio è uno stargate: una stalla del ‘700 col soffitto della lava solidificata di chissà quanti secoli fa, rifugio antiaereo nel ’42 e infine, falegnameria. L’artigiano secondo Carmine, è una persona creativa, che adotta un proprio stile soggettivo nel creare mobili. Un geometra lo aiutava realizzando appositi modelli, attraverso bozze e schizzetti. La cliente si esprimeva e il compito dell’artigiano era quello di riprodurre il disegno su scala in un’opera reale. Gli strumenti del mestiere sono numerosi. Carmine dimostra che esistono diversi tipi di seghe che vanno necessariamente ricordati in dialetto: ‘a sega ‘a sfilà, la pialla, il graffietto; ‘ a sega ‘a struncà, per tagliare e la punta di Cardamone, piccola squadretta utilizzata per fare i segni sul legno. Conserva e utilizza ancora per piccoli lavori tondi e sagomati, una sega realizzata a soli 10 anni. Afferma che quello del falegname sia un gran mestiere di cui è innamorato, anche se oggi si occupa del restauro. L’altro figlio ha ereditato segreti e passione paterna, occupandosi di antiquariato e ristrutturando palazzi a Bologna, città dove si trasferì per motivi di famiglia. Oggi lavora come tagliatore di borse, qualità ereditata per un curioso aneddoto che vide il padre, una sera in cui attendeva invano la moglie, bucherellare un pacchetto di cerini, creando cosi, un modello di borsa. Nacque col tempo un’impresa che dovette chiudere negli anni’80 con la concorrenza spietata delle Tigri asiatiche. Pensa ci voglia tanta pazienza per questo mestiere e soprattutto:<<passione che nasce nell’anima>>, la stessa riconosciutagli dalla Camera di commercio che lo contattò per ben due volte per conferirgli la medaglia d’oro, e io che compro oro per mestiere ne posso attestare la bellezza e il valore non solo simbolico ma anche effetivo, un premio alla sua attività cinquantennale, eppure mai ritirato, usanza di molti artisti che rifiutano la notorietà:<<Chissà se sarà ancora da qualche parte conservata..>>.