L’essere umano è animale sociale. Grande verità, per Aristotele. Eppure il giovane incolto diviene ben presto asino, se stordito dagli ottundimenti del paese dei balocchi, secondo il buon Collodi padre di Pinocchio. Mentre l’uomo maturo contemporaneo è vittima e carnefice dei meandri cerebrali di un tempo sul quale non ha nessun controllo: così, per dileggio, o per rassegnazione, un bel dì si risveglia insetto, secondo il genio di Franz Kafka. In tutti i modi, in molti tempi, e per diversi pensatori, scrittori e agenti provocatori, l’essere umano risulta confondersi, assimilarsi, fino ad identificarsi e divenire tutt’uno con la bestia, qualunque essa sia.
Ma cosa succede quando quest’ ultima s’appresta a fare il percorso a ritroso per invischiarsi, a suo rischio e pericolo, tra le umane genti? La risposta paradossale a una domanda altrettanto grottesca ci giunge proprio da un testo kafkiano: una contrometamorfosi intitolata Una relazione per un’Accademia. La relazione è stilata da un’ex-scimmia divenuta prima uomo e poi mattatore di varietà, mentre l’accademia è un consesso indefinito di pensatori gaudenti, osservatori indomiti o semplicemente poveri diavoli capitati per caso ad uno spettacolo di cui avrebbero fatto volentieri a meno, giacché li riguarda tutti. Eccome! Ma lo spettacolo deve sempre e comunque continuare nel mondo degli umani, e così il povero Pietro non può non raccontare in modo teneramente violento le vicissitudini che lo hanno condotto dalla giungla al palcoscenico. Strappato all’Africa in quanto esotica scimmia da condurre in Europa, si ritrova ferito e in cattività su una nave da crociera, esposto al pubblico ludibrio di ricconi impenitenti che lo sottopongono ad ogni tipo di sevizie. Senza darsi per vinto, apprenderà per imitazione da questi ultimi le sole pratiche che gli consentiranno di emanciparsi dalla condizione animale: stringere la mano, sputare, eruttare e bere superalcolici. Al termine del periodo d’iniziazione, una volta sbarcato sulla terra ferma, completerà il suo pieno inserimento nella vita culturale europea affrancandosi definitivamente dalle catene della prigionia grazie al disinvolto mondo dell’avanspettacolo. Un’opera iper-reale, trasposta egregiamente in chiavistello tragicomico grazie alla regia di Jean-Paul Denizon e all’interpretazione di Saba Salvemini. Bravi perché entrano, senza chiedere permesso, in un racconto teatrale che esordisce immediatamente con la cosiddetta rottura della quarta parete, ovvero, coinvolgendo il pubblico in scena, riescono ad aprire una cassaforte chiusa a doppia mandata. È il baluardo di superiorità dell’uomo, eterno spettatore che si compiace dei suoi sottoprodotti culturali, ritenuti straordinari rispetto a una natura rozza, selvaggia e primitiva. Peccato che il senso di attanagliante angoscia, trasmesso dall’attore vero e da quello costretto ad essere tale nel racconto, dimostri esattamente il contrario.
Un’altra gran bella pièce per l’intenso cartellone del Teatro Civico 14 di Caserta