L’origine del suo nome è ancora controversa tra storici ed esperti di toponomastica: alcuni sostengono che deriverebbe dal limo più volte depositato dal Volturno. Secondo altri sarebbe invece una derivazione aggettivale del verbo limare, per indicare l’effetto dell’acqua dolce sulle sponde dei terreni. Poi, mistero nel mistero, l’aggettivo latino limatulus (=ben levigato), è ciò che i linguisti chiamano un hapax legòmenon, ossia una rarità, una parola che compare una sola volta in tutta una letteratura, e che infatti ritroviamo unicamente in una lettera di Cicerone datata 40 a. C.
Al di là delle suggestioni retoriche, che sembrano evocare l’adiacenza del fiume Volturno, le campagne limatolesi sono fucina di genuina fertilità.
È qui che troviamo ancora produttori che si prendono cura della terra, senza sottoporla a concimi chimici o anticrittogamici, bensì nutrendola come si faceva una volta. L’imprinting che si dà ai terreni è rustica ed innovativa al tempo stesso: si sceglie l’alternanza tra le colture, ed il cosiddetto sovescio, tecnica finalizzata alla conservazione dell’humus: consiste nel sotterrare piante di leguminose (ricche di proteine, calcio, vitamine A e D nel terreno), con l’ausilio del classico aratro: un’operazione che va eseguita nel periodo della fioritura, quando le leguminose sono più ricche di provvidenziale azoto.